Girato in Germania, “Storia di una ladra di libri” (titolo originale: “The Book Thief”) è stato realizzato con un budget di 19 Mln di Dollari ed ha ricevuto varie nomination, in special modo per la colonna sonora e per la miglior attrice emergente (Sophie Nelisse).
Gli attori protagonisti, oltre alla già citata Nelisse nei panni della bambina “ladra” di libri, un eccellente Goffrey Rush (“Pirati dei Caraibi”, “Il discorso del re”, “La migliore offerta”) nei panni del padre adottivo ed una burrascosa e fragile Emily Watson (“Miss Potter”, “Anna Karenina”) nei panni della madre adottiva. Mentre le due attrici femminili, bambina e madre, con tutte le sfumature del caso rientrano comunque in parametri già stati, un diverso approccio merita Goffrey Rush (Hans Hubermann), inserito in un personaggio che, durante tutto il film scandisce, con la propria semplicità ed il proprio modo di vivere il mondo, l’incedere naturale degli avvenimenti che dal 1939 fino al 1945 portarono la Germania di Hitler verso la conquista e la successiva disfatta nel continente.
Della pellicola rimangono impressi gli sforzi per guadagnarsi la cena ed il mestiere di musicista (con ubriacature annesse), iniziato da Hans nella Prima Guerra Mondiale, tratto distintivo di Hubermann che lo porta ad essere riconosciuto dall’altro protagonista, Max (Ben Schnetzer), figlio di un ex milite amico di Hans, nascosto (ebreo) dalla famiglia Hubermann.
Queste caratteristiche del personaggio, oltre alla partecipazione miliare attiva, portano Rush ad essere il vero protagonista di “Storia di una ladra di libri”, senza nulla togliere al restante cast. Per esempio Schnetzer, Max, protagonista della casa Hubermann, uomo magro e scarno porta in scena un personaggio in cui risiede il significato più profondo della vita, che Max riassume nella frase toccante: “
In ogni Uomo è nascosta una parola, la parola segreta della vita”. Max è simbolo della potenza del verbo, centro dell’essenza umana. “Storia di una ladra di libri” nasce, quindi, come film che vuol parlare di questa giovane ragazza (Liesel) che, insieme al padre adottivo (Rush) e Max, con grandi sforzi porta a compimento un’ esplosione del verbo come linfa di vita, un film che così nasce e che fonde questo parametro con l’Io narrante, la voce della vita/morte che in un palpitante finale disvela la propria natura, che nasce proprio dalla parola fino ad un incontrollato susseguirsi degli avvenimenti che la morte porta a compimento con sottile malizia e meschinità, in un incedere a tratti spezzato dalla vita che, in un inatteso finale, rinasce nel paese della ladra di libri.
“Storia di una ladra di libri” porta con se e spiazza lo spettatore per questa unione del significato più profondo della parola, scrittura e cultura come linfa vitale, un parametro che si fonde con l’incalzare degli avvenimenti della Storia, che nel film viene accostata alla voce fuori campo, una Storia che nella pellicola è compiuta dalla vita/morte, dal continuo incedere e lasciare il passo l’una all’altra.
Ha forte rilevanza la sceneggiatura egregia di Michael Petroni (“Le cronache di Narnia”) e la regia di Brian Percival, regista che, con “Storia di una ladra di libri”, racconta il libro di Zusak, narrando dunque grazie all’approccio linguistico, culturale ed umano la Storia del generale sentimento nella Germania del Reich, prendendo “Via del Paradiso” (casa Hubermann) di un paesino tedesco come luogo per parlare della Storia e di come il significato più puro dell’esistenza umana, risiedente nel verbo, sia salvifico rispetto al contesto di umana morte circostante, che nel film è trasposta col dominio nazista imperante in Germania.
Buona visione.