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Donna in morte cerebrale diventa “incubatrice” per salvare il suo bebè

 

Milano – Una donna di 36 anni dichiarata clinicamente morta è stata attaccata alle macchine per sopravvivere fino alla 28esima settimana di gravidanza. La donna è ricoverata al San Raffaele  da martedì scorso, quando un’emorragia cerebrale fulminante l’ha colpita mentre era in casa. I medici non sono riusciti a salvarle la vita, ed ora il suo encefalogramma risulta piatto, la donna è quindi clinicamente morta. Uno staff di rianimatori, ginecologi e neonatologi sta cercando di far crescere il feto nel suo utero, per metterlo in condizioni di sopravvivere anche al di fuori.

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Con l’aiuto dei macchinari per la rianimazione, il corpo della donna è potuto diventare un’incubatrice per il suo bambino. Il tentativo è di fare maturare il feto che, a 23 settimane, non poteva ancora sopravvivere fuori dal grembo materno. La famiglia della donna ha lottato affinchè le macchine non venissero staccate per cercare di salvare almeno la vita del piccolo. Una sonda nell’intestino materno permette al feto di essere alimentato, la ventilazione artificiale fa arrivare l’ossigeno nel sangue della donna e, quindi, del feto. Il cuore continua a battere. E, finché c’è quel battito, il bambino viene tenuto in vita. L’équipe di medici che segue l’evolversi della crescita del bambino è pronta ad intervenire in ogni momento. Questa è una lotta contro il tempo, infatti il cuore della donna può smettere di battere in qualsiasi momento e, in quel preciso istante, il team di ostetrici guidati da Massimo Candiani dovrà procedere con il taglio cesareo. Più lontano sarà quel giorno, più possibilità avrà il piccolo di sopravvivere e di non avere danni cerebrali. L’obiettivo è di raggiungere almeno la 28esima settimana di gravidanza.

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IL PRECEDENTE. Una storia simile è avvenuta sempre a Milano nel 2006, quando una donna mentre aspettava sua figlia fu stroncata dalla rottura di un aneurisma cerebrale arrivando all’ospedale Niguarda clinicamente morta. Il feto era di appena 17 settimane, ma la gravidanza fu prolungata artificialmente per altri 78 giorni sostituendo le funzioni vitali materne con i macchinari. Fino alla crisi definitiva che costrinse al cesareo direttamente nel Reparto di neurorianimazione. La bimba, Cristina Nicole, si salvò e lasciò l’ospedale tra le braccia del suo papà.