ROMA – Vincenzo Imperatore è un bancario pentito che ha deciso di raccontare la propria storia e confessare le colpe verso i suoi clienti attraverso il libro dal titolo “Io so e ho le prove, confessioni di un ex bancario”. Di seguito vi riportiamo un’intervista in merito al suo passato ed alla sua attività.
Vincenzo Imperatore, non è troppo semplice essersi pentito solamente ora? Non è troppo tardi?
“Per nulla, non vede che la politica economica europea è dettata solo ed esclusivamente dai banchieri. E poi io sono pentito da cinque anni, dal 2009.
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In pratica dall’inizio della crisi.
“Esatto. All’epoca ero il capoarea di un importante istituto bancario, aziendalista convinto, per oltre vent’anni avevo sostenuto tutte le politiche decise a tavolino e trasferite allo sportello in tutti i ruoli che ho ricoperto”.
E cosa è successo?
“Fummo convocati in una riunione dai top manager, gli stessi che ci avevano portato sulla soglia del baratro e assistetti ad un gioco di scaricabarile, quasi a dire che il risultato del disastro non era frutto delle loro scelte. E ovviamente a pagarne le conseguenze erano i quadri dirigenti e quelli intermedi”.
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Un po’ come è successo in tanti altri settori.
“Esatto: quelli cambiavano casacca assicurandosi prebende e stipendi altissimi senza neanche essere sfiorati dalla crisi. Ed è in quel momento che io mi chiesi: ma come faccio a motivare i miei collaboratori se questi non hanno convinto neanche me? Siamo sempre alle solite: negli altri paesi i primi a pagare sono i generali, da noi solo dai colonnelli in giù”.
Nel suo libro svela tutti i trucchi con cui, secondo lei, il cliente viene raggirato. L’idea da cosa è nata?
“Conobbi Mario Bortoletto, l’autore del libro «La rivolta del correntista durante una presentazione. Fu lui a suggerirmi l’idea: visto che sei stato dall’altra parte, perché non ci racconti come funzionavano i meccanismi?”
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E come funzionavano?
“Ci sono due macrocategorie di clienti. Quello che ha bisogno di prestiti e quello che risparmia”.
Racconti maggiormente nei dettagli.
“In sintesi, nel primo caso il trucco consiste nell’indebitare il cliente oltre quelli che sono i suoi reali bisogni caricando sui tassi e vendendo poi il suo debito a terzi. Nel secondo, basta spostare un po’ il limite del rischio sostenibile. La maggior parte si scoccia di leggere tutte le clausole e si trova senza tutela legale in caso di perdite. Gli esempi non mancano”.
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Una bella accusa.
“Si, perché, come scrivo, ho le prove di come si muovono le banche di fronte a quei correntisti e a quelle aziende in crisi che rischiano di non saldare i debiti: propongono una ristrutturazione del debito, una rinegoziazione che nasconde la manleva da ogni responsabilità per irregolarità in contratti precedenti, e la presentano al correntista come un’opportunità dilatoria. Ho le prove di come le banche mettono a posto i conti a ridosso delle chiusure trimestrali di bilancio attraverso manovre massive sugli interessi, quando i manager devono relazionare ai soci sullo stato di salute dell’istituto. E, ancora, ho le prove di come le banche fanno cassa «piazzando» televisori, tapis roulant e biciclette ai clienti che richiedono finanziamenti”.
Quando è iniziato tutto questo?
“Sicuramente con le privatizzazione che hanno messo in testa solo la logica del profitto”.
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Ma in tutto il mondo le banche sono private
“Vero, ma all’estero funzionano i controlli e le azioni di responsabilità che da noi sono quasi totalmente assenti. Da noi i manager non pagano mai”.
Secondo lei c’è differenza tra Nord e Sud?
“Sicuro, a parte il differenziale sui tassi degli interessi che non è giustificato, c’è da dire che è molto più facile gestire la clientela meridionale che non legge con attenzione le carte e si fida del rapporto personalizzato. Da noi manca cultura finanziaria”.
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