Jobs Act – 11 marzo 2014, annuncio della Riforma del Lavoro da parte del premier Matteo Renzi. 3 dicembre 2014, approvazione al Senato del Jobs Act con voto di fiducia: il Parlamento delega il governo a completare la riforma scrivendo i decreti delegati, nel rispetto dai paletti imposti da Camera e Senato. Oggi, 24 dicembre si riunisce il Consiglio dei Ministri per completare la riforma e formulare i decreti attuativi. Dunque, l’impianto della legge è già stato approvato, ma ora tocca al governo completarlo: il Jobs Act è a un passo dalla realizzazione ed è scontro tra Nuovo Centrodestra e minoranza Pd. Il Consiglio dei Ministri ancora in corso ha approvato i primi due decreti attuativi sul Jobs Act riguardanti articolo 18 e ammortizzatori sociali, di cui tuttavia non sono stati ancora resi noti i dettagli.
La riunione del Consiglio dei Ministri, prevista per le ore 10, è stata rimandata alle 12 per le tensioni tra il gruppo di Alfano e le posizioni della minoranza democratica. Infatti, i ministri del Nuovo Centrodestra spingono per un superamento netto dell’articolo 18: “Domani d-day della politica italiana. O via articolo 18 o via governo per crollo credibilità”, aveva scritto su Twitter il presidente della Commissione lavoro Maurizio Sacconi. Dall’altra parte del tavolo, replicano Stefano Fassina e Pippo CIvati: “Secondo me, daranno retta a Sacconi, come al solito. E’ un decreto scritto con la mano destra”.
Sono due i temi presenti oggi sul tavolo del Consiglio dei Ministri: articolo 18 e ammortizzatori sociali. I restanti decreti attuativi verranno discussi e formulati in occasione di altri Consigli dei Ministri. Il nodo centrale è rappresentato, ovviamente, dall’articolo 18 e dalla possibilità di reintegro da esso garantito. La soluzione proposta dal Nuovo Centrodestra si chiama opting out, opzione aziendale: rappresenta la possibilità per l’impresa di evitare il reintegro di un lavoratore sancito da un magistrato, pagando al dipendente un indennizzo più elevato.
Il reintegro è previsto, secondo il Jobs Act, nel caso di licenziamenti discriminatori e di licenziamenti disciplinari per “fatto insussistente”: per le altre fattispecie di licenziamento disciplinare e per i licenziamenti di natura economica sparisce la protezione dell’articolo 18. Come verranno tutelati dunque i lavoratori licenziati senza diritto di reintegro? Attraverso un sussidio di disoccupazione universale, chiamato Naspi: un indennizzo crescente con l’anzianità del lavoratore. La quantità di tale indennizzo rappresenta l’altro contenzioso tra Nuovo Centrodestra e Partito Democratico, che Matteo Renzi dovrà essere in grado di risolvere.