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Ama il prossimo tuo, ma non il tuo vicino. La storia di Stefano

 

Mi chiamo Stefano Martoccia, sono nato ad Agosto nel 1981, vivo a Torino e lavoro ad Ivrea”. Poche parole per presentarsi, seguite da un elenco di innumerevoli passioni, dal cinema alla fotografia, passando per lo sport (“La passione e l’ orgoglio di appartenenza al valore rappresentato dalla squadra di calcio della mia città, ovvero il Toro, sono tasselli imprescindibili del mio modo di essere. Andare allo stadio e vivere con trepidazione le partite importanti insieme ai miei amici di sempre in curva non ha veramente prezzo”). Era un ragazzo qualunque Stefano. Gestiva un blog, nel quale raccontava con semplicità e disarmante schiettezza la convivenza forzata con un male che lo ha portato via troppo presto, lo scorso giovedì. Stefano Martoccia, ingegnere di appena 33 anni, soffriva di un tumore osseo, che gli costò l’ amputazione della gamba destra. Costretto ad una condizione di disabilità, il ragazzo aveva richiesto ai condomini del palazzo in cui viveva in via Le Chiuse, nel Quartiere San Donato a Torino, di poter installare a sue spese un ascensore.
Stefano risiedeva, infatti, in un appartamento al quarto piano. Impossibilitato ad utilizzare le scale dopo l’ amputazione, il 33enne aveva confidato in un atto di umanità dei suoi dirimpettai, tutti uomini e donne di chiesa. Sconcertante, invece, è stata la reazione dei condomini alla richiesta legittima del ragazzo. “Dopo mesi di verifiche di fattibilità e preventivi – scriveva l’ ingegnere al quotidiano “La Stampa” – il condominio – di fatto una persona sola con la maggioranza dei millesimi – sostiene che la mia volontà di procedere dipenda solo da obiettivi speculativi: costruire l’ ascensore con incentivi per i disabili, per aumentare il valore del mio alloggio. Probabilmente, poi, avrei acquistato la casa già sapendo che avrei potuto godere di questa “grande fortuna”…”. Già, è una vera fortuna poter approfittare di una quasi certa condanna a morte, di un male che devasta il fisico e, ancor prima, l’ anima. Nonostante la legge fosse dalla sua parte, Stefano aveva ritenuto giusto coinvolgere quella che credeva potesse essere una seconda famiglia, composta evidentemente da gente senza cuore e senza scrupoli, più interessata al profitto che alle “miserie” della vita quotidiana. 

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“Come fa l’ essere umano ad essere così poco umano?”, si chiedeva incredulo Stefano, la cui unica colpa era stata quella di aver rifiutato di sottoscrivere un accordo nel quale il 33enne avrebbe dovuto impegnarsi a rimuovere l’ ascensore alla sua morte e ad utilizzare lo stesso in esclusiva, impedendone l’ usufrutto persino a personale sanitario e familiari. Un vero paradosso, soprattutto considerando il fatto che Martoccia avrebbe benissimo potuto agire di testa propria, infischiandosene delle lamentele dei condomini tutti casa e chiesa.
Un paradosso doppio, quello vissuto da Stefano Martoccia, non amato dai suoi vicini di pianerottolo e non solo come Gesù Cristo comanda nella Bibbia. Dettami religiosi riveduti e corretti per gli abitanti del palazzo in via Le Chiuse , la cui grettezza ha spinto Stefano a vivere nell’ appartamento del cugino, sito al pianterreno, dove si è spento con la dignità che meritava ma, probabilmente, privo di quella serenità che era solito trasmettere ai suoi affetti più cari.
Oltre 500 persone hanno accompagnato Stefano Martoccia nel suo ultimo viaggio. Tra questi, ne siamo certi, anche i dirimpettai lamentosi e poco caritatevoli, ai quali don Antonio Menegon ha giustamente rivolto parole di biasimo per la mancata “pietas” mostrata al ragazzo. “Perdonali, Stefano”: questa l’ ultima preghiera rivolta dal sacerdote al ragazzo, preghiera che da lassù Stefano avrà sicuramente preso in carico. Peccato non esista una seconda possibilità per questi uomini e donne di chiesa di redimersi.