Il primo maggio si è aperta la grande kermesse dell’esposizione universale in quel di Milano, tra inni nazionali, lacrime, fanfare e frecce tricolori sfreccianti nel cielo plumbeo e piovoso con forti aspettative di ritorni economici ed occupazionali per il nostro paese. L’argomento scelto è legato al cibo: nutrire il pianeta. Ma vediamo un pò, in dieci punti la storia di questa vicenda e come si è arrivati all’apertura.
1) Nel 2008 l’allora sindaco di Milano Letizia Brichetto – Moratti, definita la “Duchessa di Milano”grazie ad un opera di forte pressione, riesce a farsi assegnare l’esposizione universale 2015 sconfiggendo Smirne, media città turca che aveva in mente un argomento diverso, legato alla salute umana. Quasi sempre assente dal Consiglio Comunale, l’algida e distaccata Sindaco grazie ad una operazione bipartisan (destra e sinistra favorevoli all’expo), riesce, promettendo l’avvio di 485 progetti di cooperazione internazionale e utilizzando 9 milioni di euro versati dai “soci” (governo, Regione, Comune, Provincia, Camera di Commercio), a conquistare i voti per farsi assegnare l’evento. Alla fine il 31 marzo 2008, 151 dei 154 paesi che aderiscono al Bie (Bureau International des Expositions) votano: 86 per Milano, 65 per Smirne. E’ fatta. Donna Letizia ha vinto… Resta forte il dubbio che molti voti siano stati ottenuti anche a suon di regali e regalini e che non sia stato ben delineato il confine tra “pubbliche relazioni” e corruzione.
2) Per ottenere l’assegnazione il paese ospitante deve presentare tutta una serie di progetti legati al sito espositivo in grado di valorizzarne il territorio e migliorarne la fruizione e la conoscenza. A questo proposito non si è badato a nessun limite, infatti sono state enormi le promesse al Bie contenute nel dossier di candidatura; Milano s’impegnava a fare di tutto e di più: la Bibilioteca europea, la Città dello Sport (a San Siro), la Città della Giustizia ( a Rho), la Città del Gusto (all’Ortomercato), il Centro europeo di ricerca biomedica avanzata (Cerba, nel Parco Sud); le “vie d’acqua” 20 km di canali dal centro di Milano fino all’Expo; le “vie di terra“, un percorso altrettanto lungo da cui contemplare le meraviglie antiche e moderne della città; Otto “raggi verdi“, cammini ecologici dal Duomo verso le periferie, con 70 km di piste pedonali e ciclabili e 50.000 nuovi alberi. Non uno di questi progetti è stato realizzato.
3) L’area su cui è nata Expo ha rappresentato il primo grande ostacolo alla realizzazione dell’evento. Tra l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti e l’allora Governatore della Lombardia Roberto Formigoni comincia subito una lite infinita sulle modalità con cui appropriarsi dell’area. Inizialmente d’accordo sull’ubicazione dell’evento da realizzare sui terreni di proprietà dell’ente fiera (in grave crisi finanziaria) posto nella desolata periferia nord ovest di Milano, tra il cimitero Maggiore, le ferrovie e un carcere, unico caso al mondo di un’esposizione realizzata su un area non pubblica e una volta sede di inquinanti raffinerie dell’Eni, ognuno ha idee diverse: la Moratti vorrebbe prenderli in comodato d’uso e restituirle ai proprietari con un indice di edificabilità dello 0,6 % mentre Formigoni è per l’acquisto. Dopo tre estenuanti anni di conflitti politico-affaristici e pressioni del Bie il 10 aprile 2011 nasce Arexpo e si decide per l’acquisto. Il problema si porrà nel dopo Expo: chi sborserà 315,4 milioni di euro, più 25 milioni come contributo forfettario per le infrastrutture da versare a Expo s.p.a. per acquistare l’area nel dopo evento per restituirli alle banche che hanno finanziato l’operazione?
4) Il grande affare: inizialmente l’Expo era pensato come un’inedito Parco Botanico Planetario. Il progetto prevedeva un grande parco agroalimentare strutturato su una griglia di tracciati ortogonali, circondato da canali d’acqua e punteggiato da grandi architetture paesaggistiche, basato sui principi insediativi della città romana e sui suoi due assi generatori: il cardo e il decumano. Si era pensato d’evitare i padiglioni tradizionali e la fiera delle vanità basata sulle rivalità architettoniche tra paesi. Una proposta originale e visionaria che viene accantonata perché le strutture da costruire non sono abbastanza costose per avviare la grande abbuffata delle tangenti e garantire i guadagni della cupola politico-mafiosa che si sta impossessando di appalti e finanziamenti.
5) Dopo tre anni di litigi, immobilismo, sprechi, il 3 agosto 2011 viene lanciato il primo bando di gara. In Italia si fa così: si pianifica un evento, o un’opera pubblica, li si proclama straordinari e quindi si offre la giustificazione per deroghe a controlli, autorizzazioni, norme sugli appalti. Il massimo della deregulation si ottiene quando si è in emergenza: allora le procedure speciali hanno una giustificazione ulteriore. E’ quello ch’è successo con l’Expo. Grande evento concepito nel 2006, assegnato all’Italia nel 2008, diventato nel giro di due anni un’emergenza, come fosse un terremoto, un’inondazione, un’invasione di cavallette. Poi finito, all’avvicinarsi della scadenza, in un vortice di quasi 100 deroghe al codice degli appalti.
6) Gli unici pronti all’Expo erano loro: gli uomini delle cosche, preparati da tempo a sedersi al banchetto degli appalti. Lo provano molte inchieste giudiziarie, disseminate d’intercettazioni in cui boss e i colletti bianchi delle famiglie calabresi installate al Nord parlano di Expo e si fanno sotto con i loro referenti politici. Il risultato è stato il record per le esposizioni universali: sui quattro principali appalti ha collezionato quattro indagini giudiziarie, con 21 arresti. Sono infatti quattro i grandi lavori che hanno riguardato l’area espositiva: il primo è quello della rimozione dell’interferenze, valeva 96,8 milioni è stato vinto, il 20 ottobre 2011, dalla Cooperativa e Cementisti di Ravenna (Cmc) con un’offerta di 58,5 milioni. Il secondo è quello più grosso: riguardava la costruzione della piastra, l’infrastruttura di base. Valeva 272 milioni di euro e il 3 agosto 2012 è stato vinto a sorpresa, con 165,1 milioni, da una cordata d’imprese capitanata dalla Mantovani di Padova, che batte il colosso Impregilo. Il terzo appalto, da 67 milioni, è quello per realizzare le architetture di servizio, 14 strutture tra bar, ristoranti, servizi e magazzini. Se lo aggiudica il 21 novembre 2013 la Maltauro Spa di Vicenza in raggruppamento temporaneo con Cefla, con un’offerta di 55,6 milioni di euro. Il quarto appalto è quello per le controverse vie d’acqua, aggiudicato da un gruppo di aziende con a capo sempre la Maltauro, aggiudicato a 42,5 milioni su una base di partenza di 57.
7) 08/05/2014 vengono arrestati con un blitz scattato alle prime luci dell’alba con 200 uomini della Guardia di finanza e della Dia: il direttore generale di Expo 2015 Spa, Angelo Paris, l’ex senatore di Forza Italia, Luigi Grillo, l’ex segretario amministrativo della Dc milanese, Gianstefano Frigerio (ex Forza Italia), l’ex segretario dell’Udc ligure Sergio Cattozzo, l’imprenditore Enrico Maltauro e Primo Greganti, il «compagno G», già arrestato nella stagione di Tangentopoli. Agli arresti domiciliari è finito invece Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture lombarde, coinvolto in un’altra inchiesta della procura di Milano. La situazione è talmente grave che s’impone la nomina di un commissario anticorruzione per tentare d’arginare il fenomeno. Viene nominato, a questo proposito Raffaele Cantone magistrato della direzione distrettuale antimafia, artefice della condanna del super boss della camorra Francesco Schiavone detto Sandokan che inizia subito un’operazione di controllo capillare scoprendo moltissime irregolarità prime fra tutte il sistema d’assegnazione degli appalti in deroga a tutte le norme di legge e allontana con provvedimenti interdittivi decine d’aziende in odore di mafia. La procura allinea 68 capi d’imputazione per fatti commessi tra il 2008 e il 2012: consulenze legali conferite in modo illecito, appalti truccati, falsificazione di documenti. Il 16 marzo del 2015 vengono arrestati al ministero dei Lavori Pubblici Ercole Incalza, il suo collaboratore Sandro Pacella e gli imprenditori Stefano Perotti e Francesco Cavallo. Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza, definito “potentissimo dirigente” del ministero dei Lavori Pubblici, dove è rimasto per 14 anni, attraversando sette governi fino all’attuale, il principale artefice del “sistema corruttivo”.
Nel mirino dell’organizzazione c’erano tutte le principali Grandi opere, in particolare gli appalti relativi alla Tav e alcuni riguardanti l’Expo, ma non solo.
La quota fissa della tangente era dello 0,80% sul valore dell’appalto. Per pagarla si usava il sistema delle consulenze fittizie, ma in alcuni casi anche la classica mazzetta, da versare in una cassetta di sicurezza in un banca di Lugano.
8) I numeri relativi alle risorse pubbliche messe in campo per l’avvio dell’esposizione parlano di una quindicina di miliardi, che sono promessi come investimenti di Expo con la premessa che tutto questo denaro si trasformerà in un volano economico in grado di far ripartire l’economia non solo a Milano, ma in Italia. Di questi 15 miliardi, 11 sono per le opere connesse ad Expo, e 4 per la realizzazione del sito. In realtà, in questi 11 miliardi di opere connesse c’è di tutto, progetti di strade, autostrade, metropolitane, bretelle, che già erano programmate, vengono buttate nel calderone di expo perché così si spera di avere i finanziamenti. Paradossale che dopo decenni di catechismo neo liberista che prevede la presenza minima dello stato nell’attività economica privata che deve rappresentare l’unico motore dell’attività imprenditoriale, ci si affidi ad un mega evento finanziato dai soldi pubblici per tentare di rilanciare l’economia depressa da una assurda e artificiosa crisi provocata dalle follie di una finanza criminale priva di controlli. La realtà, però è ben diversa rispetto alle promesse future di ritorni economici ed occupazionali: tutti gli ultimi Expo sono stati dei grandi flop in termini di ritorni economici e hanno semmai, provocato fallimenti, strutture abbandonate e grandi masse di debiti coperti poi con denaro pubblico. Per Milano non c’è nessuna garanzia che i ritorni economici superino i costi e il rischio flop non appare affatto scongiurato.
9) Gli Expo rappresentano residuati ottocenteschi anacronistici e privi di significato nell’era dell’informazione contemporanea. Il primo Expo venne organizzata a Londra nel 1851 al Crystal Palace in Hyde Park ed è conosciuta anche come la Great Exhibition (formalmente Great Exhibition of the Works of Industry of all Nations). Questa manifestazione nacque da una intuizione del Principe Alberto, marito della Regina Vittoria e divenne il riferimento per tutte le successive esposizioni influenzando numerosi aspetti della società quali le arti, l’educazione, il commercio e le relazioni internazionali. Celebre fu l’esposizione universale di Parigi nel 1889 che ci ha lasciato la Torre Eiffel quale simbolo del progresso che avanza. Nell’ottocento in un’epoca priva di mass media, il luogo ideale per mettere in mostra i progressi e le macchine dell’industria erano le fiere. Non c’era modo diverso per far conoscere le innovazioni, le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche. Oggi tutto ciò non ha più senso, gli Expo rappresentano solo delle macchine di marketing territoriale. Sono utili per favorire l’afflusso turistico e generare guadagni dall’indotto. A questo proposito, non è un caso che siano stati organizzati più di 7.000 eventi per il “fuori Expo” con lo scopo di intrattenere i turisti e rendere interessante il territorio. L’organizzazione prevede l’afflusso di almeno 24 milioni di visitatori.
10) Il tema dell’alimentazione scelto per questo expo è di un’importanza fondamentale perché rappresenta un problema vitale per un’umanità sempre più numerosa sul pianeta, afflitta da gravi distorsioni e ingiustizie redistributive. Nel mondo ci sono due miliardi e mezzo di persone obese vittime di un sistema consumistico che ha nello spreco il suo motore socio economico. Di contrasto ci sono un miliardo di persone prive d’acqua potabile, che patiscono la fame e vivono in favelas e baracche mal sane. Il mondo ricco getta nella spazzatura miliardi di tonnellate di cibo e le multinazionali proprietarie delle sementi e degli ogm impongono logiche economiche monopolistiche che violentano la vita dei contadini del sud e del nord del mondo. L’emissione di gas serra proveniente dagli allevamenti intensivi e dall’assurdo e gravoso spostamento delle derrate alimentari attraverso tutto il pianeta, rappresentano un grave problema ambientale e sociale, ma di questi temi nell’expo non c’è quasi traccia perché si tratta di argomenti scomodi che potrebbero sporcare la vetrina dell’esposizione e che se affrontati nel modo corretto potrebbero mettere in discussione molti dei meccanismi che alimentano l’attuale sistema capitalistico finanziario basato sul consumismo attraverso la creazione di bisogni indotti dall’incessante battage pubblicitario. Spingere per uno stile di vita sobrio, rispettoso dell’ambiente e delle tradizionali produzioni agricole e alimentari locali, portare sviluppo sano, acqua, infrastrutture, commercio equo e solidale nei paesi poveri, rispettare l’ambiente attraverso un’agricoltura priva di veleni e pesticidi, smettere di consumare il suolo, abbattere l’emissioni serra, nutrirsi di cibi sani e naturali in una logica di serena convivenza, potrebbero essere temi su cui impostare questa assurda kermesse priva di contenuti. La carta di Milano che dovrebbe rappresentare l’intento culturale dell’esposizione, è solo un elenco di buone intenzioni senza alcun potere vincolante per i paesi partecipanti, non approfondisce nulla su queste tematiche e non propone nessuna soluzione concreta. Nel mondo esistono organizzazioni nate con lo scopo di combattere la fame nel mondo come la FAO che ha fallito nonostante abbia a disposizione risorse e strutture realizzate allo scopo. Non si capisce cosa possa fare una documento scritto in una specie di sagra del cibo tipico in cui si è trasformato l’evento di Milano.