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Arianna, la recensione del film di Carlo Lavagna

Arianna film – Si sa, da sempre i genitori sono chiamati a fare delle scelte per conto dei propri figli se questi sono troppo piccoli per poter prendere delle decisioni o anche, semplicemente, per riuscire a esprimere preferenze.
Ma la decisione che tocca a papà Marcello (interpretato da Massimo Popolizio) e mamma Adele (Valentina Carnelutti) ha del surreale: bisogna stabilire che sesso dare al proprio figlio di tre anni. Sarà maschio o sarà femmina? Uno dei due sessi per forza, perché con entrambi, a parer loro, non si può rimanere. Arianna infatti nasce ermafrodita, e trascorre i primi tre anni di vita nella bella villa di famiglia sul lago di Bolsena, quasi nascosta dal resto del mondo (il padre è affermato medico a Roma) in incosciente attesa del suo verdetto.
Cresce e gioca come un maschietto fino a quando una equipe medica e i suoi genitori decidono di privilegiare il suo lato femminile: un intervento chirurgico e via, il piccolo membro maschile viene amputato.
Quello femminile viene invece sapientemente ricostruito e rimodellato chirurgicamente: ma se l’estetica è salva, la stessa cosa non si potrà dire dal punto di vista della sessualità, cosa che Arianna scoprirà a 19 anni con profonda amarezza e grande disorientamento.

Infatti, la scelta “maschio o femmina” sembra rivelarsi, nel trascorrere degli anni, sbagliata. Arianna sviluppa atteggiamenti, posture e inclinazioni più maschili e inutili sono i suoi slanci amorosi verso un ragazzo con il quale lei tenta “la sua prima volta”. Ignara del suo passato e della sua straordinaria esperienza infantile, Arianna cade in uno stato di disperazione che prelude a un finale tragico del film: calzata dentro un improbabile abitino bianco, la ragazza si perde nei boschi, si inabissa in gole rocciose e sfida i torrenti, quasi a cercare un ritorno selvaggio alle proprie origini; proprio lì, nella natura attorno al lago di Bolsena dove i suoi genitori l’hanno ricondotta dopo sedici anni di assenza. Qui Arianna scoprirà la verità e i suoi trascorsi come maschietto fino ai tre anni, ma saprà uscirne vittoriosa: dalla propria realtà avversa e dai conti che non tornano trarrà infine un respiro di saggezza e dirà “O accetto di essere un errore, o invento una matematica mia”.

Il film, presentato alla 72° mostra del Cinema di Venezia, è l’esordio alla regia di Carlo Lavagna e si è aggiudicato due premi durante le Giornate degli Autori. Ha lentezze e ingenuità nella sceneggiatura, eppure muove buone speranze per il futuro del cinema italiano. In più, diretta e “guardata” dagli occhi di questo giovane bravo regista, la maestria di Ondina Quadri, attrice protagonista, tiene alto il pathos e trascina l’emotività degli spettatori sino alla fine.
“Arianna” non è certo un film solamente dedicato agli ermafroditi (molto pochi: l’incidenza di casi nel mondo sembra essere attorno allo 0,4%) ma ai tanti, tantissimi, che si sentono prigionieri dentro un corpo nel quale non sanno riconoscersi.
Il tema quindi non è la diversità, bensì il sentirsi “diversi” e a disagio. Grazie, Arianna, per la tua lezione di matematica!