“È questa la vita vera? È questa solo fantasia?”: chi non conosce l’incipit di una delle pietre miliari della storia della musica – quella con la “M” maiuscola – internazionale? Sono passati ben quaranta anni dall’uscita di uno dei singoli più ascoltati ed adorati dei Queen. Il 31 ottobre del 1975, infatti, il Mondo interno faceva conoscenza con “Bohemian Rhapsody”: un brano che ha segnato un confine tra il “fare” musica e “vivere” di musica, un concentrato di innovazione, ispirazione, sentimento che ha fatto discutere gli amanti delle sette note e ha colpito al cuore i patiti della buona musica.
La genesi di “Bohemian Rhapsody” è da attribuire interamente a Freddie Mercury, genio e sregolatezza dei Queen, morto prematuramente di AIDS nel novembre del 1991. Il cantante la scrisse su pezzi di fogli ed elenchi telefonici e fu sin da subito chiaro che con questa “hit”, fin troppo lunga per il periodo in cui fu incisa – “Bohemian Rhapsody” dura quasi sei minuti – i Queen miravano ad innovare il genere rock attraverso l’inserimento di nuovi elementi all’interno del proprio sound, dalla “rapsodia” che dà il titolo al brano alla musica da opera, attraverso degli inserimenti vocali lirici.
La canzone divenne il “cavallo di battaglia” del quarto album della band “A night at the Opera” e contiene in sè una moltitudine di messaggi, che hanno negli anni dato adito a numerose riletture del brano. C’è proprio tutto l’universo Queen in “Bohemian Rhapsody”: la religione, il rapporto con il divino (i patiti del complotto potrebbero riscontrare persino dei riferimenti satanisti nel testo della canzone) e, soprattutto, l’ammissione choc dello stesso Mercury legata alla sua omosessualità. “Mamma, ho appena ucciso un uomo, gli ho puntato una pistola alla testa, ho premuto il grilletto, ed ora è morto (…). Mamma, non volevo farti piangere, se non sarò tornato a quest’ora domani, va avanti, va avanti, come se niente fosse stato”: sei minuti ci vogliono a Mercury per uccidere il suo “vecchio” io per dare spazio al vero se stesso, con tutte le conseguenze strettamente correlate al suo “outing”.
Ascoltare “Bohemian Rhapsody”, tuttavia, dà i brividi anche per un’altra ragione. Nonostante la canzone sia antecedente alla malattia e alla conseguente morte di Mercury, c’è una porzione del testo della canzone che suona quasi come un nefasto presagio. “Troppo tardi, è venuta la mia ora, rabbrividisco. Il corpo mi duole in continuazione, addio a tutti – devo andare”: è impossibile non tornare alla mente a quel drammatico 24 novembre del ’91 quando il Mondo venne a conoscenza della drammatica fine del frontman dei Queen. La canzone raggiunse i massimi vertici nelle classifiche, sia l’anno della sua uscita ufficiale che negli anni Novanta, complice la morte stessa di Mercury ed un film – “Fusi di Testa” del 1992 – che inserì questa speciale “ballad rock” in una scena: un omaggio, quello della pellicola, che ha ulteriormente sancito il successo di “Bohemian Rhapsody”.
“Galileo, Galileo, Galileo, Figaro… Magnifico!”: come dimenticare uno dei passaggi più “assurdi”, ma forse per questo emozionanti, di “Bohemian Rhapsody”? La canzone dei Queen continua ad emozionare ed a spingere tanti artisti a riproporla come cover, che non riesce mai a superare la sublime qualità dell’originale. La cover più “estrosa” è targata Muppets: al posto di Freddie e soci troviamo la rana Kermit, la simpatica maialina rosa e tutti i pupazzi dell’universo “Sesame Street”. Una cover che ha, a sua volta, generato una parodia targata Sora Cesira, riguardante la disastrosa situazione italiana ai tempi di Berlusconi e delle Olgettine. Tentativi simpatici di rendere omaggio ad un vero e proprio capolavoro capace, anche a distanza di quaranta anni, di suscitare la pelle d’oca al primo ascolto.