Una foto può aprire gli occhi al mondo, una foto può svelare le nefandezze del genere umano anche a chi sostiene l’assurdo assioma “se non lo vedo, non esiste”. Una foto può descrivere meglio di mille parole le condizioni in cui versano le vittime dei conflitti mondiali. Magnus Wennman, fotoreporter svedese, di foto ne ha scattate ed anche tante, ed i soggetti scelti per i suoi scatti choc sono dei bambini. Bambini siriani, piccole vittime inconsapevoli di un conflitto che li ha costretti alla fuga. “Where The Children Sleep” è il nome scelto dal fotografo per mostrare l’insieme di scatti che ritraggono i giacigli di fortuna dei piccoli siriani in fuga con le famiglie.
Le foto di Wennman ci mostrano dove bambini come Lamar, Abdullah, Ahmed dormono. Le storie di questi bambini sono tristi quasi quanto i loro visi addormentati immortalati dall’obiettivo del reporter. Lamar ha cinque anni, è una bimba che ha perso tutto. La sua casa a Baghdad non esiste più ed ora la piccola, dopo aver attraversato a piedi i confini dell’Ungheria, si trova ad Horgos insieme con la sua famiglia. Abdullah ha cinque anni, proprio come Lamar, ed una malattia del sangue. Il piccolo, ritratto nella foto scattata a Belgrado, non può curarsi perchè la sua mamma non ha abbastanza soldi per le medicine.
Anche Ahmed, sei anni appena, si trova in Serbia. Il bambino dorme sull’erba (come ci mostra una delle foto della raccolta “Where The Children Sleep”) e, mentre il piccolo sogna il suo papà che non c’è più, gli adulti che lo accompagnano s’armeggiano per poter uscire dall’Ungheria. Maram è una bimba spaurita di otto anni ma è come se avesse già vissuto due volte. Uscita dal coma provocato dalla caduta di un pezzo di tetto che le è precipitato addosso, la bimba ritratta nello scatto forse più shoccante di Wennman non può parlare a causa della rottura della mascella. Ralia e Rahaf, sette e tredici anni, dormono per le strade di Beirut. Wennman ha scattato loro una foto mentre dormono a terra. Lo fanno da un anno, insieme con il loro papà, da quando sono scappati da Damasco.
Moyad e Walaa hanno cinque anni. Il primo è sopravvissuto ad un attacco bomba che lo ha privato per sempre della mamma ed ora versa in gravi condizioni in un ospedale in Giordania. Il secondo guarda verso l’obiettivo. La foto ritrae gli occhi chiari di un bimbo in fuga, occhi pieni di lacrime di una creatura spaventata. Come Ahmad, di sette anni, sopravvissuto ad un proiettile shrapnel, come Shehd, ritratta in posizione fetale raggomitolata per terra. La bimba della foto è dovuta crescere troppo in fretta e nei suoi disegni d’infante non ci sono più case e fiori ma solo armi.
Lacerano il cuore le foto dei bimbi più piccoli ritratti dal fotoreporter: Amir, di soli 20 mesi, e Fara, di due anni. Amir vive in una tenda di plastica e la sua mamma crede che il suo piccolo, “nato rifugiato”, sia nato traumatizzato. Fara ha una sorella più grande, Tisam, ed insieme trascorrono il tempo giocando con un pallone di fortuna arrangiato dal loro papà. “Il conflitto e la crisi possono anche essere difficili da capire , ma non è difficile capire che questi bambini hanno bisogno di un posto sicuro per dormire – ha detto l’autore delle foto intervistato dalla CNN – Questo è facile da comprendere. Hanno perso la speranza, e ci vuole molto perché un bambino smetta di essere tale e smetta di essere felice, anche nei posti veramente brutti.”
“Where The Children Sleep” mostra al mondo foto choc che racchiudono una grande verità: non esistono e non devono esistere vittime di serie A e vittime di serie B, foto condivisibili con hastag e foto da cestinare e di cui dimenticarsi. Le vittime sono vittime e la sofferenza è sofferenza, che sia essa francese, russa, siriana, americana.