Ricordato come “padre” della psicanalisi, Freud era solito dividere la psiche umana tra parte conscia, o “l’io”, e parte inconscia. Nella prima, erano conservati consapevolmente dei ricordi a cui l’individuo poteva “accedere”. Nella seconda invece erano presenti informazioni ritenute perdute. Ad esempio, sosteneva che una data paura priva di motivazione apparente, fosse in realtà provocata da un episodio avvenuto nell’infanzia, poi rimosso. Il ricordo in sé però non veniva “cancellato” dalla memoria ma restava “nascosto”. Secondo i suoi studi, proprio questa parte della psiche, l’inconscio, era la chiave per capire il comportamento umano.
La teoria freudiana è solitamente rappresentata da un iceberg. Proprio come questo, l’inconscio è composto da una parte visibile che affiora in superficie, più piccola, e un’altra “nascosta”, ma non per questo inesistente. Di conseguenza, ogni aspetto comportamentale di un individuo aveva una spiegazione razionale. Con questa visione delle cose, Freud, a differenza di molti medici dell’epoca, ricercava spiegazioni nell’inconscio piuttosto che etichettare un soggetto come “pazzo”. Era convinto appunto che ci fosse qualcosa che spingesse gli individui ad agire in un determinato modo piuttosto che in un altro. Qualcosa che forse avevano rimosso, ma che era evidentemente ancora parte di loro.