POLIEDRICO. Uomo versatile, artista poliedrico e personaggio di spicco della nostra cultura, sin dagli anni Sessanta Ettore Scola sente la profonda esigenza di raccontare vizi e virtù del popolo italiano. Ancor prima che imbracciare la macchina da presa, però, Scola mosse i suoi primi passi nello spettacolo come sceneggiatore ed, in gioventù, come vignettista: era appena quindicenne quando iniziò a consegnare i suoi schizzi alla rivista “Marc’Aurelio”, giornale con il quale proseguirà la sua collaborazione anche negli anni universitari e con il quale, oltre ad Ettore Scola, collaborò anche un “certo” Federico Fellini. L’amicizia e la stima tra i due cineasti portò Scola a realizzare, nel 2013, il docu-film “Che strano chiamarsi Federico”, co-sceneggiato assieme alle figlie del compianto regista, Paola e Silvia Scola.
QUASI DA OSCAR. E’ a partire dalla fine degli anni Sessanta, però, che Ettore Scola regala il meglio della sua arte al Mondo intero. Il cineasta comincia ad incidere sulla pellicola le prime lettere della sua leggenda nel 1968, quando dirige Alberto Sordi, Nino Manfredi e Bernard Blier nella pungente commedia “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”. Nel film, Scola punta il dito contro i connazionali benestanti, che mostrano tutta la loro grettezza quando si tratta di affrontare le problematiche relative al Terzo Mondo. Tutti i grandi attori italiani vogliono farsi dirigere da Scola, e molti di loro vi riescono.
Dopo la partecipazione, come regista di alcuni episodi, al film corale “I nuovi mostri” (1977), Ettore Scola comincia ad accrescere la sua fama anche oltre i confini nazionali. Per ben 4 volte è vicinissimo a vincere l’Oscar come Miglior Film Straniero – lo fa con un poker di capolavori, quali: “Una giornata particolare”, “I nuovi mostri”, “Ballando ballando” e “La famiglia” – mentre a Cannes trionfa nel 1976, grazie al capolavoro “Brutti, sporchi e cattivi”. Unanime è stato, in queste ore, il cordoglio per la scomparsa del grande maestro, nell’universo della Settima Arte, così come nella politica e tra la gente comune.
RICORDI. Commosso il ricordo che Giancarlo Giannini ha di Ettore Scola: “Ho cominciato con lui facendo “Dramma della gelosia” e poi più tardi “La cena”. Ci vedevamo spesso e mi colpiva sempre la sua intelligenza. E’ stato un grande regista e un grande uomo con una grande gioia nella vita. Aveva un modo così acuto di raccontare e poi era sempre tranquillo e ti metteva a tuo agio. Un uomo di un’umanità incredibile“. Sergio Castellitto, che pure fu diretto dall’immenso Scola ne “La famiglia”, ammette: “L’avevo sentito a Natale – continua l’attore – era venuto a vedere il mio ultimo film e si prodigava in consigli. Era come un padre. Era veramente l’ultimo di quel mondo, di quella generazione”. “La morte di Ettore Scola lascia un enorme vuoto nella cultura italiana – sottolinea Matteo Renzi per il quale il regista è stato – Maestro dalla incredibile ed acuta capacità di lettura dell’Italia, della società e dei suoi mutamenti, del sentimento del tempo: una coscienza civile del Paese”.