RECIDIVO. Non è la prima volta che Donald Trump fa uso ed abuso di un certo genere di musica (ovvero, le hit di successo) e, soprattutto, “Rolling in the deep” non è la prima canzone di Adele che Trump utilizza come “jingle” per la sua campagna elettorale. Prima di ricorrere ad uno dei singoli più trascinanti di “21”, uno degli album di punta della popstar, Trump aveva infatti scomodato una canzone da Oscar, “Skyfall”, realizzata dalla performer britannica per l’omonima pellicola incentrata sulle imprese di James Bond.
Adele, però, ha deciso di non rimanere più in silenzio. Tramite il magazine “Daily News”, un portavoce della star di “Hello” ha reso noto che la cantante “Non ha mai concesso i diritti di utilizzo dei suoi brani per nessun tipo di campagna politica”. Per Donald Trump, quindi, si profila all’orizzonte un’accusa di violazione dei diritti d’autore… per l’ennesima volta. Prima di Adele, infatti, il tycoon ha mietuto altre “vittime sacrificali” sull’altarino della propria avventura in politica. Nessuna di esse, purtroppo per Donald Trump, ha però ingoiato il rospo.
I PRECEDENTI. E’ arcinota la battaglia che ha visto contrapposti Donald Trump al leader della storica band, i REM, Michael Stipe. L’oggetto del contendere, come ovvio, l’utilizzo improprio di una hit del trio, “It’s the End of the World as We Know It (and I feel fine)” (riproposta da Ligabue nella versione tricolore: “A che ora è la fine del Mondo?”). Un’altra band famosissima, gli Aerosmith, ha battuto i piedi alla notizia che il candidato repubblicano avesse osato usare, durante i propri comizi, la canzone “Dream On” come sottofondo. Una battaglia intestina, quella tra musicisti e politici, che ha visto Neil Young opporsi ancora al recidivo Trump e, ancor prima, il “Boss” Bruce Springsteen invitare Ronald Reagan a non usare più la sua celeberrima “Born in the USA” per racimolare qualche voticino in più.