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FT: nelle banche italiane cda sovradimensionati

Il Financial Times punta il dito contro la frammentazione del settore bancario italiano e sulle dimensioni eccessive dei suoi cda. Infatti il settore del credito in Italia appare ben lontano da quel consolidamento auspicato dallo stesso Mario Draghi in una recente visita a Roma. A questo si aggiunge il fatto che difficilmente, tra le banche quotate a Piazza Affari, è possibile trovare istituti con meno di 15 consiglieri di amministrazione. Per citare alcuni esempi, il cda di Banco Popolare conta 24 membri, quello di Banca Popolare dell’Emilia Romagna 18, UBI Banca 23 in Consiglio di Sorveglianza e altri 9 in Consiglio di Gestione.

Insomma cda sovradimensionati in cui, continua il FT, le pari opportunità non sembrano essere rispettate: da un’analisi realizzata dalla società di consulenza GC Governance Consulting, emerge che un anno fa le donne rappresentavano mediamente solo il 16% dei consigli (appena il 4% nel cda di Banco Popolare). Anche la presenza di consiglieri stranieri appare molto limitata: delle 17 banche del panel, ben 13 non avevano alcun esponente straniero in cda.

Altro aspetto importante è la remunerazione: in media i consiglieri di amministrazione delle banche italiane, compresi gli a.d., si portano a casa 850 mila euro all’anno. I tempi però stanno per cambiare: recentemente è stata approvata una riforma del credito cooperativo che costringerà le prime dieci banche cooperative italiane a trasformarsi in società per azioni, avviando in questo modo un effettivo processo di consolidamento del settore.

Proprio la scorsa settimana Bpm e Banco Popolare hanno annunciato la fusione, e altre operazioni simili sembrerebbero già in programma. Nelle negoziazioni relative alla fusione Bpm-Banco Popolare, il numero dei componenti del cda è stato un tema oggetto di acceso dibattito, con la ECB schierata a favore di un consiglio di amministrazione più snello. Il FT conclude sottolineando come il settore bancario italiano sia caratterizzato da cda sovradimensionati e scarsamente redditizi, in cui le logiche del merito lasciano spesso il passo a dinamiche clientelari e in cui i processi di selezione delle classi dirigenti sono eccessivamente influenzati dalle fondazioni bancarie.