Il cosiddetto modello italiano di capitalismo è rappresentato da una nuova classe di aziende di medie dimensioni che persino nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014 sono riuscite a far crescere del 10% il fatturato e ad aumentare il numero dei propri dipendenti del 5%. Queste imprese, Intesa ne conta 142, appartengono ai settori più disparati, dall’enogastronomia all’high tech, passando per la chimica e il settore moda. Le accomuna, però, il fatto di essere concentrate in sei regioni, principalmente in Veneto, in cui risiede il 60% delle aziende virtuose. Unica regione meridionale presente nel panel è la Campania, che tuttavia deve accontentarsi di un più modesto 5%.
Ne emerge un ritratto “distrettuale” del nostro Paese, suddiviso in vari aggregati industriali dalla forte connotazione territoriale. Si tratta dei distretti industriali, il cui modello produttivo appare tutt’altro che superato. I distretti sono agglomerati di imprese caratterizzati da un forte ancoraggio socio-culturale ad un determinato territorio. E’ proprio il legame con il territorio a favorire una libera circolazione di idee e conoscenze tecnico-produttive. A confermare il peso della realtà distrettuale sull’economia nazionale sono i dati sulle esportazioni: tra il 2013 e il 2015 l’export dei distretti industriali italiani non solo ha doppiato la performance nazionale (+13.6% contro una media nazionale del +6.3%), ma ha anche superato le esportazioni del settore manifatturiero tedesco, che ha registrato un +7.8%.