A diffondere i documenti un collaboratore dello studio legale che aiutava i potenti a trasferire le loro ricchezza in paradisi fiscali, lo studio Mossack Fonseca, con sede a Panama. Sono decine di migliaia i nomi nella lista, tra i quali cittadini di oltre 200 Paesi diversi, una settantina di capi di Stato (in carica o ex), politici, calciatori, imprenditori. Quella tracciata dai Panama papers è una struttura molto complessa composta da oltre 500 banche e loro sussidiarie che hanno registrato più di 15.000 società fantasma attraverso lo studio legale panamense.
Insomma un sistema labirintico creato per aiutare prestigiosi clienti ad evadere il fisco, riciclando denaro proveniente da attività sia legali che non. I servizi forniti dall’offshore sono totalmente legali se realizzati conformemente alle leggi e in maniera trasparente nei confronti del fisco, ma quanto emerge dai Panama papers è un disegno al di fuori della legalità. Al centro dello scandalo c’è il presidente russo Vladimir Putin, che secondo quanto riporta l’Espresso (il giornale italiano che fa parte dell’Icij) avrebbe trasferito denaro per oltre 2 miliardi di dollari tramite dozzine di transazioni (circa 200 milioni ciascuna) gestite da banche, imprese e persone di fiducia.
Oltre a Putin, molti altri leader internazionali, tra cui il presidente cinese Xi Jinping, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, il re saudita Salman bin Abdulaziz al Saud, il presidente ucraino Poroshenko. Non mancano all’appello nemmeno i vertici politici dei Paesi scandinavi, primo fra tutti il premier islandese Sigmundur David Gunnlaugsson, così come personaggi dello spettacolo e calciatori (il pallone d’oro Lionel Messi, Michel Platini, l’attore Jackie Chan, il regista Pedro Almodovar). Ma ci sono anche molti italiani, almeno 800, tra i quali, secondo l’Espresso, Luca Cordero di Montezemolo, Jarno Trulli e l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri.
Quasi tutti i soggetti e gli enti annoverati nella blacklist hanno smentito le voci relative al loro coinvolgimento nella struttura descritta dai Panama papers. Hsbc fa sapere che le accuse si riferiscono a fatti risalenti a più di 20 anni fa, antecedenti alle massicce riforme realizzate negli ultimi anni. Il ceo di Credit Suisse invece dichiara che la società non ha mai incoraggiato il ricorso a strutture finanziarie a scopo di evasione fiscale.
La pubblicazione dell’inchiesta ha comunque scatenato un terremoto mediatico le cui conseguenze si stanno facendo sentire a livello internazionale. In Cina è già all’opera la censura, con l’obiettivo di rendere inaccessibili le informazioni relative ai Panama papers, in particolare quelle relative al coinvolgimento della famiglia del presidente. In Francia i riflettori sono puntati sulla famiglia Le Pen e sulla cerchia dei suoi stretti collaboratori. Infatti sembrerebbe che una parte del patrimonio di Jean-Marie Le Pen sia stato trasferito nei Caraibi mediante la società offshore Balerton Marketing Limited, costituita appositamente nel 2000.
Una delle proteste più animate è in atto in Islanda, dove ieri migliaia di persone hanno manifestato per chiedere le dimissioni del primo ministro Gunnlaugsson, accusato di aver utilizzato una società offshore per celare al fisco un patrimonio milionario. L’inchiesta ha colpito pesantemente anche il premier britannico David Cameron, nonostante la sua strenua lotta contro i paradisi fiscali. Suo padre Ian, infatti, era un cliente di Mossack Fonseca e utilizzava i servizi dello studio legale panamense per proteggere dal fisco britannico il suo fondo di investimento.