Milano – Il Mudec, Museo delle culture, ospita dal 25 Marzo all’11 Settembre 2016 la mostra di una delle personalità più illustri dell’arte moderna, il pittore spagnolo Joan Mirò, esponendo un’ampia selezione di opere che spaziano nella vita dell’artista dal 1931 al 1981. Il titolo dell’esposizione è “La forza della materia” e si tratta di un progetto ideato dalla Fundaciò Joan Mirò di Barcellona, sotto la guida della direttrice della stessa fondazione Rosa Maria Malet.
La scelta del tema si basa proprio sull’introspezione dell’artista e sulla sua concezione dell’oggetto: “Bisogna avere il rispetto per la materia. E’ lei il punto di partenza. E’ lei che detta l’opera, lei che la impone”. Queste e tante altre sono le parole dell’artista spagnolo che ha sempre cercato, nella sua arte, di creare una commistione tra poesia e pittura.
Joan Mirò nasce nel 1893 a Barcellona e sin dal primo decennio di vita sviluppa una passione e propensione per il disegno che lo portano a frequentare lezioni private, nonostante studiasse tutt’altro. Fu proprio un esaurimento nervoso per il lavoro che svolgeva ad aprirgli la mente verso quello che doveva essere il suo impiego: cominciò così a studiare in maniera approfondita il mondo che aveva sempre amato, fino ad inserirsi e diventare lui quel mondo.
Egli fu uno dei più radicali teorici del surrealismo, descritto come “il più surrealista di noi tutti”. Più si dedicava all’arte più il suo surrealismo diveniva marcato, trasformandosi poi in scritti che inneggiavano allo “stupro” ed “assassinio” della pittura convenzionale, portandolo alla sperimentazione più estrema. Sottoponeva i dipinti a pratiche poco ortodosse bruciando, lacerando e perforando le tele e non solo, comincia ad utilizzare supporti insoliti quali assi di legno e carta vetrata. Il suo obbiettivo era dissacrare la pittura, provocando lo spettatore, ma soprattutto mettendo in dubbio il valore economico dell’arte.
“Sono disgustato completamente disgustato dalla pittura, mi interessa solo lo spirito puro e uso gli strumenti canonici dei pittori solo per essere sicuro che i miei colpi vadano a segno” dichiarò nel 1931. Durante gli anni della Guerra Civile spagnola e della Seconda guerra mondiale, Mirò ricorre spesso al disegno per denunciare la tragedia e definisce il suo linguaggio di segni un supporto comune quale può essere la carta, senza però rinunciare ad esplorare le possibilità offertegli dalla materia. Si può quindi utilizzare il termine “antipittura”.
Gli elementi costanti nelle opere di Mirò sono personaggi, donne, uccelli e costellazioni che dominano i supporti da lui utilizzati e gli stessi titoli trovati per i corridoi dello spazio adibito alla sua mostra al Mudec di Milano. L’atmosfera che aleggia è di una serenità quasi tetra, il fruitore è accolto in corridoi bui illuminati dalle luci usate per evidenziare le opere, poste in ordine cronologico. La sensazione straordinaria è quella di riuscire a percepire il pensiero dell’artista nel momento in cui tocca la tela e la facilità di comprensione delle immagini seppur volontariamente confuse.
La maggior parte delle basi dei dipinti iniziali sono composti da un’assemblaggio di acquerelli apparentemente confusionari su una semplice superficie cartacea mentre le figure sono rappresentate con china e grafite. Solo a metà mostra le opere esplodono in una moltitudine di materiali e supporti con l’inserimento di carattere sintetico e limitatezza della gamma cromatica.
La parte scultorea è minima, ma qui più che mai è presente la materialità che Mirò voleva trasmettere allo spettatore. Opere come “Personaggio” del 1968 imprimono nel bronzo (Mirò usava la tecnica della fusione a cera persa) qualcosa di primitivo come se venisse dimenticata un’impronta per contrassegnare qualcosa in un luogo, lasciando una traccia.
L’esposizione offre perciò una visione completa della vita del pittore ed uno sguardo forse differente da quello offerto dai libri di storia dell’arte. La conoscenza dall’arte moderna infatti è sottovalutata, ma la mentalità di pittori quali Joan Mirò è essenziale per la comprensione di quella che è l’arte odierna che forse sta morendo proprio per l’inosservanza dei grandi di un passato molto vicino a noi.