Un grande schermo sul soffitto è ora il cielo stellato dove volano le streghe, ora un groviglio di insetti, ora lascia il posto a Banquo, interpretato da Eros Pagni, e Duncan, alias Marco Sciaccaluga. Il sipario si apre tra voci, strida, rumori assordanti delle perfide streghe che sibilano la profezia: Macbeth sarà prima nominato Barone di Glamis, poi Barone di Cawdor e infine diverrà re.
La trama è la stessa, a cambiare è l’ambientazione: in uno squallido salotto, il valoroso generale è in realtà un miserabile vecchio attaccato al proprio ossigeno e le sue valorose imprese non sono altro che inutili stragi. È dunque necessaria l’apparizione della moglie, spettacolare poiché viene fatta scendere dall’alto su una poltrona, mentre già rimprovera il marito di non essere abbastanza ambizioso. Dopo dialoghi fatti di respiri e silenzi, vince tutti i suoi dubbi e infine lo convince ad uccidere il re Duncan nella notte.
Nulla sembra cambiare le loro miserabili vite, appannate da un’inutile sete di potere che li porta rapidamente al tormento e al rimorso. Le mani, ormai, sono intrise di sangue e la conclusione è rapida e inevitabile: “Domani, e poi domani, e poi domani, il tempo striscia, un giorno dopo l’altro, a piccoli passi, fino all’estrema sillaba del discorso assegnato e i nostri ieri saran tutti serviti a rischiarar la via verso la morte a dei pazzi. Breve candela, spegniti! La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla: è un racconto narrato da un idiota, pieno di grida, strepiti, furori, del tutto privi di significato!”.
La debolezza di fronte al vizio e al proprio destino, la fragilità del potere e il rimorso sono tutti temi che da sempre interessano, poiché fanno proprio parte di quel rumore della vita in cui siamo immersi. Lo spazio scenico non è altro che un momento per fermarsi a riflettere e lasciare andare la propria immaginazione. Ecco perché la commistione di video, recitazione, musica…
Un allestimento forse ancora troppo provocatorio per i gusti dei genovesi, dato che alcuni hanno lasciato la sala prima della fine, nonostante Edoardo Sanguineti fosse uno di loro: “Allargare al massimo l’orizzonte dei linguaggi, puntare su frizioni e choc, speculare sopra accoppiamenti di forme e di toni assolutamente non giudiziosi, è per me esercizio antico e preciso progetto di poetica. Il teatro, che è appunto, per eccellenza, “travestimento”, mi pare che invochi siffatte manipolazioni, in vista di una piena sregolatezza inventiva, anarchicamente ben temperata. E questo vale per la parola, per il suono, per l’immagine, per il gesto. Del resto, si sa, Shakespeare insegna”. Spettacolo impegnativo da seguire, ma interessante e ricco di spunti di riflessione.