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Il fascino incompreso di “Macbeth Remix” al Duse di Genova

Sta per giungere all’ultimo atto la stagione 2015-2016 dello Stabile di Genova con l’ultima produzione propria, “Macbeth Remix”. La tragedia di William Shakespeare, vista con gli occhi di Edoardo Sanguineti, viene messa in scena al teatro Duse dal regista e compositore Andrea Liberovici. Più innovazione che tradizione, lo spettacolo vede sul palcoscenico due grandi attori italiani, Elisabetta Pozzi e Paolo Bonacelli, nelle vesti dei coniugi Macbeth.

Un grande schermo sul soffitto è ora il cielo stellato dove volano le streghe, ora un groviglio di insetti, ora lascia il posto a Banquo, interpretato da Eros Pagni, e Duncan, alias Marco Sciaccaluga. Il sipario si apre tra voci, strida, rumori assordanti delle perfide streghe che sibilano la profezia: Macbeth sarà prima nominato Barone di Glamis, poi Barone di Cawdor e infine diverrà re.

La trama è la stessa, a cambiare è l’ambientazione: in uno squallido salotto, il valoroso generale è in realtà un miserabile vecchio attaccato al proprio ossigeno e le sue valorose imprese non sono altro che inutili stragi. È dunque necessaria l’apparizione della moglie, spettacolare poiché viene fatta scendere dall’alto su una poltrona, mentre già rimprovera il marito di non essere abbastanza ambizioso. Dopo dialoghi fatti di respiri e silenzi, vince tutti i suoi dubbi e infine lo convince ad uccidere il re Duncan nella notte.

Nulla sembra cambiare le loro miserabili vite, appannate da un’inutile sete di potere che li porta rapidamente al tormento e al rimorso. Le mani, ormai, sono intrise di sangue e la conclusione è rapida e inevitabile: “Domani, e poi domani, e poi domani, il tempo striscia, un giorno dopo l’altro, a piccoli passi, fino all’estrema sillaba del discorso assegnato e i nostri ieri saran tutti serviti a rischiarar la via verso la morte a dei pazzi. Breve candela, spegniti! La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico per il tempo assegnato alla sua parte, e poi di lui nessuno udrà più nulla: è un racconto narrato da un idiota, pieno di grida, strepiti, furori, del tutto privi di significato!”.

La debolezza di fronte al vizio e al proprio destino, la fragilità del potere e il rimorso sono tutti temi che da sempre interessano, poiché fanno proprio parte di quel rumore della vita in cui siamo immersi. Lo spazio scenico non è altro che un momento per fermarsi a riflettere e lasciare andare la propria immaginazione. Ecco perché la commistione di video, recitazione, musica…

Un allestimento forse ancora troppo provocatorio per i gusti dei genovesi, dato che alcuni hanno lasciato la sala prima della fine, nonostante Edoardo Sanguineti fosse uno di loro: “Allargare al massimo l’orizzonte dei linguaggi, puntare su frizioni e choc, speculare sopra accoppiamenti di forme e di toni assolutamente non giudiziosi, è per me esercizio antico e preciso progetto di poetica. Il teatro, che è appunto, per eccellenza, “travestimento”, mi pare che invochi siffatte manipolazioni, in vista di una piena sregolatezza inventiva, anarchicamente ben temperata. E questo vale per la parola, per il suono, per l’immagine, per il gesto. Del resto, si sa, Shakespeare insegna”. Spettacolo impegnativo da seguire, ma interessante e ricco di spunti di riflessione.