Ad aprile, nella città di Ramadi, sono stati trovati almeno 40 cadaveri sepolti in un campo da calcio. Altri resti umani sono stati rivenuti anche a Sinjar, Anbar e Tikrit. I corpi appartengono per la maggioranza a membri di tribù locali, a soldati iracheni o a donne yazide, tutti uccisi brutalmente dall’Isis. Gli yazidi, in particolare, stanno da tempo cercando di far riconoscere il genocidio del loro popolo.
Anche se diversi territori sono stati riconquistati, sono in molti coloro che preferiscono non tornare in patria e vivere come sfollati nei centri di accoglienza. Un inviato delle Nazioni Unite ha descritto la crisi politica irachena come una delle peggiori di questi anni: “Sono 10 milioni le persone che necessitano di aiuti, 2 milioni gli sfollati che si aggiungeranno entro fine anno e solo un quarto degli 861 milioni di dollari richiesti per l’emergenza svincolati”.
Jan Kubis ritiene che sconfiggere militarmente l’Isis non basterà: “L’estremismo trae beneficio dall’instabilità politica e dalla mancanza di riforme. La stabilità, la sicurezza e l’unità dell’Iraq non possono prescindere da un sistema inclusivo, paritario e basato su un sistema di decision making a livello federale”.