Il differenziale tra i due candidati sarebbe pari a 31mila voti. Uno scarto minimo, dunque, ma sufficiente a decretare la sconfitta del grande favorito del ballottaggio, Norbert Hofer. La vittoria di Hofer avrebbe indubbiamente avuto forti contraccolpi a livello internazionale. L’esponente del Fpö aveva inaugurato la sua campagna presidenziale affermando di avere un “nuovo modo di intendere l’incarico”. Hofer è infatti promotore di un ruolo “interventista” del presidente della Repubblica, in contrasto con la funzione prevalentemente di garanzia e rappresentanza che storicamente hanno avuto i presidenti austriaci nel secondo dopoguerra.
Aveva fatto discutere nel 2013 una sua apparizione pubblica con il fiordaliso all’occhiello, cioè il fiore segno distintivo dei nazisti clandestini prima dell’ascesa di Hitler. Per la prima volta nella storia della Ue ci sono state concrete possibilità di vittoria di un partito politico fondato da ex nazisti. Anche per questo al secondo turno l’affluenza alle urne è stata pari al 72%, con un sensibile incremento rispetto al primo turno elettorale. Segno che gli austriaci si sono mobilitati in massa per scongiurare il trionfo del Fpö.
La paventata vittoria di un partito di origini nazional-socialiste non è l’unica ragione per cui queste elezioni passeranno alla storia. Van der Bellen è infatti il primo esponente dei Verdi alla presidenza della Repubblica. E a decretare la sua vittoria sono state le prime elezioni austriache del dopoguerra nelle quali i due partiti maggiori (il partito Socialdemocratico e quello Popolare) sono stati tagliati fuori dalla sfida finale. La vittoria del leader della destra ultranazionalista austriaca avrebbe rappresentato un duro colpo per l’Unione europea in una fase molto delicata per gli equilibri comunitari. Nel corso dell’ultimo anno il fronte euroscettico si è notevolmente rafforzato in paesi come Grecia, Polonia, Spagna e Francia, e tra un mese esatto in Gran Bretagna si terrà il referendum sulla permanenza nella Ue.