Nel novembre del 2014, la giovane studentessa lasciò il college per andare in Iraq assieme al compagno e unirsi alla lotta per i diritti umanitari. Pochi mesi dopo si trasferì a Rojova, in Siria, dove è rimasta fino ad oggi. È stata in prima linea per un anno eppure vedendo o sentendo le testimonianze di bambine e donne stuprate non è mai riuscita a rimanere impassibile. Il racconto più agghiacciante riguarda la morte di una bambina di 11 anni. La piccola era, come purtroppo molte altre, una schiava sessuale. Dopo una violenza di massa, è rimasta incinta: non ritenuta più “idonea” a soddisfarli, è stata uccisa da alcuni esponenti dello Stato Islamico.
Durante la prima notte trascorsa sul fronte in Siria, Joanna ha visto morire davanti ai suoi occhi il compagno, colpito a morte da un cecchino. Nonostante il dolore per la sua perdita, la studentessa non ha abbandonata la battaglia. Solo da poco infatti è stata costretta a tornare nel suo paese poiché il suo passaporto non era più valido. Inoltre, a causa delle attuali leggi restrittive per limitare i foreight fight, se dovesse tornare in Siria lo farebbe a suo rischio e pericolo, rischiando di essere, nella migliore delle ipotesi, imprigionata.