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Allarme: la carne alla griglia troppo cotta fa sviluppare il cancro. Ecco perchè

A dare la cattiva notizia agli amanti di griglia e barbecue è uno studio condotto dal dipartimento di Urologia della University of California di San Francisco, pubblicato sulla rivista PloS One. Secondo i ricercatori, chi consuma grandi quantità di carne rossa molto cotta avrebbe il doppio delle possibilità di ammalarsi di questo tipo di tumore.

Lo studio, guidato dall’urologo Sanoj Punnen, si è basato su 470 persone cui era stato recentemente diagnosticato un tumore aggressivo alla prostata e su 512 soggetti di controllo, tutti reclutati dai principali ospedali e centri di ricerca di Cleveland, in Ohio. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario sulle loro abitudini alimentari durante l’ultimo anno. Il questionario raccoglieva informazioni su vari alimenti, tra cui diversi tipi di carne e la frequenza con cui erano stati consumati. Una parte era invece destinata al consumo di carni al barbecue, alla griglia e al grado di cottura più comunemente scelto.

Dai risultati è emerso che chi era abituato a mangiare due porzioni di hamburger o polpettone alla settimana aveva un rischio più che doppio di sviluppare un tumore aggressivo alla prostata rispetto a chi non ne consumava affatto.

Secondo gli studiosi, la “colpa” non sarebbe tanto della carne in sé, quanto piuttosto della tecnica e del grado di cottura. Il rischio era doppio infatti per quegli uomini che nel questionario avevano confessato di mangiarla “ben cotte”, mentre l’aumento era decisamente più modesto (circa del 12%) per coloro che avevano risposto di essere più avvezzi alla “cottura al sangue” o “media”.

L’idea che ciò che mangiamo possa influenzare in qualche modo le probabilità di sviluppare il carcinoma prostatico non è nuova. “Negli ultimi anni – ha spiegato Punnen – sono stati condotti numerosi studi epidemiologici con l’obiettivo di valutare l’impatto dei fattori alimentari su questi tumori”.

Quelli focalizzati sul consumo di carne, però, hanno dato spesso risultati contrastanti. In alcuni casi, infatti, sono state riportate associazioni positive tra il consumo di carne rossa e il rischio di cancro alla prostata. L’esempio più noto è una ricerca condotta dal National Cancer Institute di Rockville, in Maryland, su 175.343 uomini, che aveva registrato una correlazione tra il consumo totale di carne rossa e il tumore alla prostata.

Recentemente, tuttavia, un’analisi pubblicata sul Nutrition Journal non aveva confermato tali correlazioni, ma solo un’associazione “debole” tra questo tipo di tumore e il consumo di insaccati e/o carne processata.

Secondo Punnen e colleghi, una possibile spiegazione dei risultati spesso discordanti a cui sono arrivate le diverse ricerche può risiedere nel tipo di tumore esaminato. “In particolare, è possibile che l’associazione tra consumo di carne e tumore sia valida solo per cancri aggressivi o in stadio avanzato”, ha precisato l’urologo. Il cancro alla prostata, infatti, è estremamente eterogeneo: alcuni tumori rimangono latenti, mentre altri sono più aggressivi e tendono a progredire rapidamente.

Un’altra spiegazione plausibile, secondo gli studiosi, è che a far aumentare il rischio non sia tanto il consumo di carne in sé, quanto piuttosto il modo in cui è cucinata. Studi recenti, tra cui quello dell’Università di California, si sono quindi focalizzati sul grado di cottura e il livello di carbonizzazione della carne, suggerendo un rischio più elevato per chi mangia abitualmente carni cotte ad alte temperature, come ad esempio alla griglia.

Il meccanismo attraverso il quale il consumo di carne ben cotta potrebbe aumentare il rischio di cancro consiste nel rilascio di composti mutageni durante la fase di cottura. I principali responsabili sembrerebbero essere le ammine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici aromatici, composti chimici che si formano quando il muscolo di animali come manzo, maiale, pesce e pollo vengono cucinati a temperature elevate.

Gli idrocarburi aromatici, in particolare, si producono affumicando o grigliando la carne a fiamma diretta. Il grasso che cola sul fuoco genera fiamme contenenti idrocarburi aromatici, che poi vanno a ricoprire la superficie della bistecca o dell’hamburger. Le ammine, invece, si formano da reazioni di creatina e creatinina con amminoacidi e zucchero quando si cuoce a lungo e ad alte temperature.

Lo studio ha alcuni punti deboli, tra cui il fatto di fare affidamento sulla “memoria storica” di ciò che i partecipanti ricordano di aver mangiato. Ciononostante, è considerato un importante passo in avanti nella comprensione del ruolo che questi e altri composti mutageni potrebbero avere nella formazione del tumore prostatico. La speranza è quella di riuscire un giorno a sviluppare strategie di prevenzione che abbiano di mira proprio queste sostanze.

“Dato l’impatto del cancro alla prostata sulla salute pubblica mondiale, l’individuazione di qualsiasi tipo di strategia alimentare e preventiva in grado di ridurne il fardello fisico, emotivo ed economico è da considerarsi estremamente importante”, ha concluso Punnen. I fattori di rischio conosciuti per questo cancro includono l’età, la storia familiare, l’etnicità e diverse varianti genetiche.

Sebbene questa neoplasia sia altamente ereditaria, le variazioni geografiche nell’incidenza del tumore e l’aumento delle probabilità di ammalarsi per quegli uomini che si trasferiscono da Paesi considerati a “basso rischio” (soprattutto in Asia) a nazioni dove il rischio è più alto (Stati Uniti e Nord Europa) suggeriscono che i fattori ambientali potrebbero giocare un ruolo decisivo nella comparsa di questa malattia al tempo stesso così comune e così complessa.

Negli Stati Uniti, il tumore alla prostata è il cancro più diffuso (fatta eccezione per quelli della pelle) e la seconda causa di morte legata ai tumori per la popolazione maschile. Solo quest’anno, negli Usa sono previsti oltre 33.000 decessi causati dalla neoplasia.

Quanto all’Italia, sono oltre 40.000 gli uomini a cui ogni anno viene diagnosticato un carcinoma prostatico (dati Registro Italiano dei Tumori). Nel nostro Paese ci sono più di 216.000 persone che vivono con una diagnosi di cancro alla prostata. Questo tumore, la cui incidenza aumenta con il prolungarsi dell’aspettativa di vita, può essere facilmente trattato se individuato nelle prime fasi: il tasso di sopravvivenza a 5 anni è dell’88% (dati Rapporto Airtum 2011).

 

Repubblica