Dal 2030 metà popolazione obesa, lo dice l’OMS – E’ allarme nel mondo per l’obesità dilagante, si stima che se continuerà questo trend metà della popolazione nel 2030 sarà obesa determinando gravissime conseguenze di ordine sanitario e socio economico. E’ questo l’allarme lanciato dagli organismi sanitari internazionali che invitano i governi a prendere rapidi e seri provvedimenti per contrastare questo fenomeno. Si tratta di una conseguenza diretta degli stili di vita e dei comportamenti legati alla società dei consumi in cui viviamo. Un fenomeno che dilaga anche nei paesi in via di sviluppo che adottando comportamenti tipici dei paese ricchi, stanno importandone i difetti, primo fra tutti l’eccessivo ingerimento di calorie e l’inattività. L’obesità è fonte di innumerevoli problemi fisici e psicologici: bassa autostima, depressione, ipertensione cranica; insufficienza respiratorie e apnee notturne, asma; cardiopatie, ischemie e ipertensione; artropatia da carico, osteoartrite; una quantità innumerevole di tumori, problemi gastrointestinali e circolatori.
L’offerta straripante di cibo, gli stili di vita e la spinta a consumare, unita ad una forte ignoranza nei confronti della composizione organolettica dei cibi, rappresentano gli elementi che maggiormente incidono in questo fenomeno. A questo punto, parlare di società malata non è un errore. Non basta infatti, che un’organizzazione sociale funzioni per non considerarla tale. Così come funzionano le organizzazioni criminali lo stesso si può dire della nostra società in cui i valori estrinseci, quelli legati all’avere, al consumare e all’apparire, prevalendo su tutti gli altri, guidano le nostre scelte di vita. Nonostante lo straordinario sviluppo tecnologico e produttivo in cui siamo immersi quello che viene a mancare è la soddisfazione dei profondi bisogni intrinseci legati alla sfera degli affetti, dell’amore, del rispetto del prossimo, della cooperazione e della solidarietà nei confronti dei nostri simili, verso i quali dobbiamo imparare a sviluppare un sentimento di fratellanza e condivisione. La società dell’avere in cui viviamo ci offre, invece dei surrogati materiali a compensazione della mancata soddisfazione di questi fondamentali valori umani, e il fenomeno della bulimia è molto spesso, legato al bisogno di mangiare per tentare di riempire il vuoto che si crea dentro di noi. Lavorare incessantemente, spendere, consumare e accumulare oggetti è diventata la vera religione degli uomini e delle donne che vivono nel sistema capitalistico-finanziario attuale. L’obesità dilagante, insieme al consumo di antidepressivi, sonniferi, della stragrande maggioranza delle dipendenze, della solitudine, dei suicidi, della depressione e della violenza, rappresenta uno degli innumerevoli indicatori di un modello di vita e di sviluppo da rivedere profondamente. E non serve a niente incolpare le agenzie educative (scuola e famiglia) quali responsabili di questo stato di cose perché se tutto quello che ruota intorno spinge in direzione opposta a quanto s’insegna, lo sforzo è del tutto inutile. E come voler camminare sotto la pioggia e non volersi bagnare. Bisogna intervenire alla radice del problema rivedendo i modelli consumistici che ci vengono inculcati fin dalla nascita. E come voler curare i sintomi senza andare alle cause che li determinano. Come i medici di base i quali si disinteressano di noi, raramente fanno domande su come viviamo per comprendere le cause che determinano l’insorgere del fenomeno patologico per cui chiediamo il loro aiuto. Ti prescrivono farmaci o visite specialistiche che servono moltissimo all’industria sanitaria che se ne infischia bellamente di chi sei, di come vivi, se sei una persona felice, se hai una vita sociale appagante, se il lavoro che svolgi soddisfa i tuoi bisogni relazionali ed economici e quali valori muovono la tua vita. Quello che importa è remunerare gli azionisti che hanno messo i soldi nelle aziende produttrici di farmaci. Soprattutto in ragione del fatto ormai scientificamente provato, che gli stati d’animo e la felicità delle nostre vite incidono pesantemente sul nostro stato generale di salute. Non è un caso che sia nato un movimento di persone e medici che si recano presso gli ospedali dove sono ricoverati i bambini per farli ridere perché sanno che l’allegria e la felicità facilitano la guarigione.
Senza profonde trasformazioni sociali ed economiche che cambino i valori che guidano il sistema e le nostre vite, fenomeni come l’obesità, non potranno mai essere debellati. Se spingo ogni giorno, attraverso migliaia di spot, le persone a consumare incessantemente perché questo è il vero motore economico della società, come posso lamentarmi, poi che le persone siano obese, si ammalino e siano tristi e insoddisfatte? Se sottopongo i bambini a migliaia di spot pubblicitari dove sono reclamizzate merendine e cibi spazzatura, come possiamo lamentarci che siano grassi e vittime di malattie e vivano il proprio corpo come un problema permanente?
Il paradosso di Easterlin (Easterlin Paradox) o paradosso della felicità venne definito nel 1974 da Richard Easterlin, professore di economia all’Università della California meridionale e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, il quale evidenziò che nel corso della vita la felicità delle persone dipende molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza. Questo paradosso si può spiegare osservando che, quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino ad un certo punto, poi comincia a diminuire, seguendo una curva ad U rovesciata. Una palese dimostrazione della strada sbagliata che stiamo tutti percorrendo, una strada che paradossalmente crediamo di aver costruito con le nostre mani, ma in realtà si tratta di una via preparata con cura e realizzata per soddisfare prevalentemente le mire di una ristretta plutocrazia internazionale che, se non invertiamo la rotta al più presto, ci sta spingendo a velocità accelerata verso un pericoloso baratro sociale, economico ed ambientale.