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Marco e Domenico uccisi 2 volte: la difficile ricerca della verità

Erano giovani, carini, spensierati. Avevano un mare di sogni da realizzare, obiettivi da raggiungere, sorrisi da elargire ai propri cari. Le vite di Marco Vannini e Domenico Maurantonio sono state spezzate in due tranquille serate passate al fianco della propria ragazza il primo, e dei compagni di classe in una goliardica gita a Milano il secondo. Le famiglie di Marco e Domenico hanno riposto fiducia completa in estranei ritenuti comunque affidabili: nulla poteva accadere ai propri ragazzi vicino ad adulti irreprensibili e a coetanei troppo legati ai giovani per poter fare loro del male. Nulla di terribile doveva accadere, eppure qualcosa è accaduto a Marco e Domenico.

Ladispoli come Milano, la calorosa provincia romana come il più freddo capoluogo del Settentrione. Il dolore è lo stesso, i drammi che hanno colpito due famiglie geograficamente agli antipodi sono diversi, seppure hanno in comune un fattore alquanto inquietante: un’omessa verità. Nonostante gli appelli dei genitori e parenti di Marco e Domenico, nessun testimone ha il coraggio di raccontare alle persone vicine a questi due giovani cosa è realmente successo in un noto albergo della città lombarda piuttosto che nella vicina abitazione dei familiari della fidanzatina storica del giovane.

Il caso di Domenico Maurantonio ha “beneficiato” di una maggiore risonanza mediatica rispetto all’assurdo omicidio (involontario?) di Marco Vannini. Nonostante l’attenzione di stampa e trasmissioni a tema, però, il decesso del 19enne di Padova avvenuto in un hotel milanese mentre si trovava in gita con la propria classe continua ad essere avvolto in una fitta nebbia alimentata da racconti inverosimili, omissioni immotivate e mezze verità. Nessuna ricostruzione riesce a spiegare in maniera ineccepibile come abbia potuto un ragazzo nel pieno delle sue facoltà mentali precipitare, parzialmente svestito, dalla finestra dell’albergo dove alloggiava senza che nessuno si accorgesse del dramma. Tra deiezioni sulle scale, messaggi misteriosi su Whatsapp e strani presenze ospitate dall’hotel, nessuno ha il coraggio di fornire ai genitori del ragazzo un’esaustiva dinamica dei fatti.

I genitori di Domenico condividono con quelli di Marco Vannini il medesimo sgomento, misto a dolore e comprensibile rabbia. Il biondo Marco, 20 anni e un grande sogno – intraprendere la carriera militare – è morto in circostanze ancora tutte da chiarire mentre si trovava a casa di quella che il giovane riteneva, purtroppo a torto, la sua seconda famiglia. I genitori, il fratello, persino la cognata e la fidanzata di Marco non hanno contribuito a far luce sull’assurda dipartita del ragazzo, ucciso da un colpo di pistola esploso forse accidentalmente dalla pistola del “suocero”, un Luogotenente della Marina Militare che prestava servizio nella Capitale.

Colpevole e testimoni, dopo aver chiamato e rimandato al mittente i soccorsi che il 118 stava inviando, hanno accampato una serie di scuse con i genitori del ragazzo: Marco è caduto dalle scale, Marco si è ferito con un pettine. Marco è vigile, Marco non ha bisogno di soccorsi. Marco è grave, Marco non ce l’ha fatta. Una serie di informazioni scagliate all’indirizzo della famiglia Vannini con la stessa inarrestabile forza di uno tsunami, che ha distrutto l’esistenza di questi due genitori, affranti dall’incolmabile perdita, ma decisi ad andare sino in fondo per scoprire la verità sulla morte del loro Marco.

Chi restituirà verità e giustizia a Marco, Domenico e ai propri cari? Gli investigatori ed i magistrati italiani come possono svolgere appieno il proprio dovere se il libero cittadino non collabora? La risposta a tale domanda pare trovarsi alla fine di un lungo, buio tunnel che i familiari di Marco e Domenico sono determinati ad attraversare.