Un’eccessiva adultizzazione nell’infanzia può causare nell’adulto gravi difficoltà a relazionarsi con i suoi futuri figli. L’ultima ricerca in tema di psicologia dello sviluppo e filiazione arriva dagli States, dove un recente studio ha dimostrato più precisamente che privare i figli della loro caratteristica propriamente infantile, catapultandoli quindi bruscamente ed antetempo in una dimensione pragmatica della vita quale quella dei loro stessi genitori, può risultare un danno significativo allo stile genitoriale che assumeranno da adulti. La ricerca è stata pubblicata in anteprima sulla rivista Journal of Family Psichology ed è stata condotta da Amy K. Nuttall, ricercatrice della Michigan State University. Il campione esaminato comprendeva 374 madri in piena gestazione da famiglie a basso reddito, che sono state seguite nelle prime 18 settimane di vita dei loro figli per la raccolta dei dati sugli stili genitoriali attuati.
Le madri che nella loro infanzia erano state seguite con troppa assiduità dai propri genitori erano più propense a lasciare i propri figli a se stessi. Quest’effetto di rimbalzo crea non solo una percezione distorta dei bisogni del bambino, ma anche una noncuranza da parte della madre, che non ha di per sé lo slancio emotivo per provvedere a tutti i bisogni di suo figlio, dei quali non è nemmeno completamente conscia. Per questo, solitamente si tende principalmente ad uno stile genitoriale apprensivo, oppure ad essere poco presenti dinanzi alle richieste del bambino: una spirale che porta ciascuna generazione a ripetere quanto accaduto nelle precedenti, indipendentemente dal sesso. La Nuttall ha chiarito questi aspetti dichiarando: “Se la vostra infanzia è stata definita da genitori che si aspettavano troppa disponibilità a soddisfare le richieste altrui, senza darvi l’opportunità di sviluppare il vostro senso identitario, ciò può portare ad una confusione circa le vostre aspettative sui figli ed una conoscenza meno accurata dei loro limiti di sviluppo e dei loro bisogni in qualità di bambini.”
A seguito di questa scoperta e prima di alcuna rettifica formale si potrebbe considerare l’“essere bambini”, in senso letterale, come un compito evolutivo, ovvero un’esperienza necessaria affinché l’individuo sviluppi determinate capacità psico-sociali, che saranno determinanti nell’età adulta. In questo caso, le conseguenze di un’infanzia oppressa dalle richieste del mondo adulto ha dirette conseguenze sulla gestione del legame filiale. Principalmente si parla di bambini costretti dalla vita o dai loro tutori a prendersi cura di se stessi, di fratelli più piccoli oppure ancora di genitori con psicopatologie, dipendenze o anche solo negligenze che li hanno resi incapaci di svolgere il proprio ruolo. Quelli appena citati sono casi emblematici, ma non gli unici: le responsabilità assunte prematuramente da questi bambini in piena infanzia non sono solo materiali ma anche psichiche, come l’ansia da prestazione o l’eccessivo autocontrollo, che andrà a tradursi in inibizione, indotti da uno stile educativo errato da parte dei loro genitori.
I risultati dello studio hanno un peso significativo, non sono per la letteratura scientifica, ma soprattutto per l’intervento in materia di educazione prenatale dei futuri genitori. Corsi formativi del genere sono ancora rari, purtroppo, ma è chiaro che in futuro dovranno essere diretti verso l’apprendimento dello sviluppo individuale durante l’infanzia e delle richieste dei bambini, quanto più vicina alla realtà.