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Bugie infantili: il lato oscuro della teoria della mente nei bambini

Le bugie dei bambini nascono da un eccessivo esercizio della loro teoria della mente: per riuscirci essi sfruttano l’abilità di immedesimarsi negli altri, ricavata proprio dall’allenamento ad utilizzare questa rappresentazione mentale riguardante se stessi o gli altri, scoperta nei primi 3 anni d’età. Gli scienziati che hanno messo a punto l’esperimento datato agosto 2015 che ha provato il nesso causale tra teoria della mente e capacità di mentire nei bambini provengono da università cinesi, Zhejiang Normal University e Hangzhou Normal University, dalla canadese University of Toronto e dalla statunitense University of Michigan. I presupposti riguardavano lo sviluppo della capacità di dire bugie in tenera età come abilità sociale di particolare importanza, dunque sono stati studiati due gruppi diversi di bambini, tutti all’incirca dell’età di 3 anni e tutti rigorosamente incapaci di dire bugie prima dello studio.

Un gruppo fu istruito ad imparare ed esercitare concetti fisici, mentre l’altro gruppo è stato sottoposto da un serio training all’utilizzo della propria teoria della mente: a tale scopo è stata utilizzata l’attività che più facilmente riesce a coinvolgere i bambini senza introdurli necessariamente in un setting frustrante, ovvero il gioco. Il risultato è stato che il secondo gruppo ha manifestato una capacità di dire bugie costante per ben un mese di monitoraggio da parte dei ricercatori, mentre gli altri non ne erano capaci, non perché non possedessero una teoria della mente, ma perché non erano stati allenati ad utilizzarla in molteplici forme e contesti. L’esito dello studio è da interpretare anche in un altro modo, come detto dagli stessi autori: “Questi risultati forniscono la prima evidenza sperimentale a sostegno del ruolo causale della Teoria della Mente nello sviluppo delle capacità sociali nella prima infanzia.”

Non a caso il gioco è proprio ciò che fu utilizzato nella prima scoperta di una teoria della mente, durante il famoso “Sally-Anne Test” approntato da Perner e Wimmer nel lontano 1983, che propone ad un qualsiasi bambino di 2-3 anni una scena in cui la bambina Ann prende la biglia dal cestino di Sally, in sua assenza, e la nasconde nella propria scatola. Al bambino viene chiesto dove Sally tornerà a prendere la propria biglia: se risponde che lei la cercherà nello stesso posto in cui l’ha lasciata, significa che questi è già in grado di rappresentarsi gli stati mentali altrui e, dunque, di distinguere tra la propria visuale delle cose e quella degli altri protagonisti. Significa anche che sa distingue tra osservazione e partecipazione alla scena stessa, che invece prima di quest’età interpreterebbe come vissuta da se stesso, che nel caso del Sally-Anne Test è onnisciente.