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Il primo esperimento di optogenetica ridarà la vista ai ciechi

L’avanguardia delle neuroscienze potrà anche questo: curare la cecità e le malattie neurodegenerative grazie ad una nuova scienza nata dall’uso della genetica sui processi attivazione-inibizione neuronali, l’optogenetica. Il caso specifico nasce dal tentativo di curare i malati di Retinite Pigmentosa (RP), che indica un gruppo di patologie degenerative il cui principale meccanismo è precoce e lenta dipartita dei fotorecettori, a seguito della mutazione di alcune proteine responsabili della visione al livello primordiale. Lo studio texano è condotto dai medici della Retina Foundation of the Southwest, da cui deriveranno anche i pazienti che saranno sottoposti il mese prossimo ad un’operazione che potrebbe cambiare la loro vita. Infatti, lo scopo del trattamento appena messo a punto è di riprogettare il DNA delle cellule gangliari della retina, iniettandovi un virus derivato da alghe fotosensibili, in modo che possano rispondere alla luce inviando segnali al cervello e dunque fornendo la percezione visiva di cui sono mancanti.

Per la vastità delle forme di RP, sono stati scelti pazienti con cecità altamente invalidante, i quali sono a stento in grado di identificare una mano in movimento davanti al proprio viso, ma l’operazione non può ancora fare miracoli, trattandosi di una cura sperimentale. I pazienti potranno individuare grandi oggetti, come tavoli e sedie, nello spazio circostante o anche leggere grandi lettere, come si augura l’amministratore delegato Sean Ainsworth della RetroSense Therapeutics, sponsor di questa ricerca. L’optogenetica, nonostante giovanissima branca delle neuroscienze nata appena una decina di anni fa, è in grado di promettere simili risultati poiché utilizza l’ingegneria genetica per modificare dei meccanismi cerebrali come la neurodegenerazione. Se quest’esperimento dovesse andare a buon fine, dunque, si aprirebbe la strada a cure concrete contro Parkinson, Alzheimer e molte altre patologie che finora sono ritenute inarrestabili e contro cui si può solo agire per alleviare i sintomi.

In questo frangente, una delle ricorse italiane nel campo delle neuroscienze sarà Antonello Bonci, neurologo e neuropsicofarmacologo nostrano diventato il direttore scientifico del programma di ricerca intramurale presso il National Institute on Drug Abuse di Baltimora. Secondo il suo parere, lo studio texano cambierà non solo le sorti dei pazienti presenti e futuri, ma dell’optogenetica stessa, che diverrà una vera e propria “miniera d’oro” per gli sviluppi futuri di questa scienza. E probabilmente sarà proprio così, se la risposta al test sarà positiva.