Le tavolette in questione rientrano perfettamente in questa categoria. Sono state rinvenute all’interno della sepoltura di una donna, che pare non abbia ordinato l’esecuzione delle lamine e non avesse nessun ruolo nella vicenda narrata dalle tavolette, ovvero una diatriba tra committente anonimo e due avversari in affari, di cui si leggono chiaramente i nomi Fanagora e Demetrios, due tavernieri, menzionati insieme ad altre due coppie di locandieri. Questo rappresenta un aspetto rilevante nella logica delle maledizioni, che, sebbene esistano in molte varianti, seguivano schemi fissi. Al primo posto vi era innanzitutto l’invocazione alle divinità (in questo caso la potenza infernale Ecate seguita da Artemide ed Hermes) e i nomi delle vittime, per garantire l’efficacia del rito. Dopodichè si pronunciava la maledizione vera e propria, che in questo caso auspica ad una sfortuna duratura sia verso gli individui sia verso i loro beni. In simili formule raramente si aspira alla morte, anzi nella maggior parte dei casi si richiede che i nemici vengano portati solo sul punto di morire, o di immobilizzarne le capacità fisiche e mentali. Infine nella tavoletta di Fanagora e Demetrios il committente sembra voler attirare sui suoi avversari una grande sventura, data dal sostantivo kinotos (letteralmente ‘orecchio di cane’) che indicava il tiro ai dadi più sfortunato possibile.
La traduzione della tavoletta di Fanagora e Demetrios è la seguente:
Ecate, Artemis, Hermes: gettate il vostro odio su Fanagora e Demetrios, e sulla loro taverna e sulle loro proprietà e possedimenti. Legherò il mio nemico Demetrio e Fanagora, nel sangue e nella cenere, con tutti i morti. Nemmeno il prossimo ciclo di quattro anni vi libererà. Ti legherò in un tal modo, Demetrio, il più duramente possibile, e colpirò la tua lingua con un kynetos.
Dopo che questi testi magici (in latino defixiones) erano stati incisi, solitamente venivano nascosti in luoghi che si ritenevano particolarmente in contatto con il mondo ultraterreno, soprattutto nelle tombe, rispondendo alla necessità di affidare le proprie preghiere alle divinità infernali. Non a caso per queste invocazioni di magia nera si utilizzava il piombo, un metallo considerato appartenente agli Inferi ed associato ad Ecate.
Ecate rimane per un lunghissimo periodo la divinità più invocata nelle maledizioni, e anche in epoca romana viene spesso invocata e raffigurata, come si può notare in due tavolette in piombo del tardo impero romano rinvenute nel 2009 ed attualmente conservate presso il Museo Civico Archeologico di Bologna. La dea greca è rappresentata con i capelli vorticanti come serpenti, e circondata da iscrizioni sia in latino sia in greco che pretendono la morte tra atroci sofferenze dei destinatari dell’atto di goetia, ovvero la magia nera diffusissima nel tardo impero, e che ben presto incorse nella condanna dei padri della Chiesa prima di essere ufficialmente proibita con l’imporsi sempre maggiore del Cristianesimo.