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Europarlamento: la Cina non è un’economia di mercato

Con 546 si, 28 no e 77 astensioni il Parlamento europeo nega alla Cina lo status di economia di mercato. E’ stata infatti approvata la risoluzione sostenuta da Verdi, socialisti (S&D), popolari (Ppe), liberali (Alde) e conservatori (Ecr) con la quale si chiede alla Commissione Europea di mantenere in essere i meccanismi anti-dumping, cioè le misure atte a contrastare la vendita da parte dei produttori cinesi di merci sul mercato comunitario a prezzi inferiori a quelli applicati sul mercato interno. La decisione del Parlamento UE anticipa di qualche mese la scadenza del periodo di prova di concesso in sede Wto per valutare l’economia cinese.

Il Protocollo firmato nel 2001 pur permettendo alla Cina di entrare a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) ha infatti previsto un periodo di prova di 15 anni al termine del quale l’Unione Europea dovrà decidere se riconoscere alla Cina lo status di economia di mercato e quindi abolire i dazi applicati alle sue esportazioni. A dispetto delle pressioni cinesi, l’Europarlamento ha deciso di chiedere alla Commissione il mantenimento delle misure anti-dumping. A parere del Parlamento di Strasburgo la Cina non rispetta il requisito di “non avere significative interferenze statali nelle decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi” e di impedire che i costi di produzione e la struttura finanziaria delle aziende nazionali siano soggette a distorsioni rilevanti.

La decisione del Parlamento non è vincolante, ma indubbiamente il segnale per la Commissione è molto forte. Nonostante la decisione presa, l’Europarlamento ribadisce l’importanza della cooperazione tra UE e Cina, sottolineando come “per la prima volta nel 2015 gli investimenti della Cina nella Ue hanno superato gli investimenti dalla Ue in Cina”. Sottolinea tuttavia che l’attuale livello di ingerenza dello Stato sull’economia cinese impedisce alle aziende di assumere decisioni in linea con i segnali di mercato. Sulla decisione del Parlamento Ue pesano i timori dell’industria europea sulle conseguenze dell’eventuale apertura ai prodotti cinesi in vista dell’obiettivo di portare entro il 2020 al 20% il peso del settore industriale sul Pil comunitario.

Nella stessa direzione va la decisione, presa qualche settimana fa da Bruxelles, di dare vita ad un nuovo sistema di sorveglianza degli importatori extra europei nel settore dell’acciaio. Tale meccanismo, che sarà in vigore per quattro anni, è stato elaborato nel contesto della profonda crisi che ha colpito la siderurgia europea a causa della concorrenza aggressiva posta in essere da molti paesi emergenti. Prevedibili le reazioni positive del mondo imprenditoriale. Milan Nitzschke, portavoce dell’associazione industriale Aegis Europe ha affermato che «il messaggio del Parlamento europeo è chiaro: non possiamo aprire ulteriormente il mercato europeo ai prodotti cinesi sotto costo, con la conseguenza di distruggere posti di lavoro e di penalizzare l’ambiente».