Non potrò fare il giornalista, mi piacerebbe, ma non lo posso fare. All’esame di Storia del Giornalismo in Statale a Milano ho conseguito un trenta pulito come un neonato, è stato bello, l’unico di tutta la sessione, con una docente tra l’altro che nel campo è un po’ più che un’istituzione. Mi disse allora di continuare, di voler sporcarmi le mani nel ramo perchè avevo talento, ma ho capito che non basta. Il perchè è semplice e sta nell’essenza di questa vita. Il perchè è che a questo mondo per diventare qualcuno devi essere capace di fare un’azione che non deve essere fine a sé stessa. Nel mio caso è che, quando scrivo un articolo, scrivo senza pensare ad altro e, stando alle parole di chi mi ha giudicato, sono bravo a scrivere. Ma quando scrivo, scrivo e basta.
Tuttavia a volte mi capita di avere idee originali e spesso le mie idee partono da una brutta storia, perchè le brutte storie devono trasformarsi in belle. Me l’ha insegnato un compagno di tante battaglie il cui nome è Francesco e di professione fa il cantautore, è famoso Lui, ma non penso gli importi qualcosa davvero. O meglio così penso senza aver certezza. Di sicuro so che ogni canzone di De Gregori è una canzone con prospettiva e per questo penso che in vita la giustizia abbia voluto che facesse il cantautore, proprio perchè ciò che dice nei testi non si ferma dove nasce, ma vuol dire anche altro.Soprattutto nei primissimi album questo concetto è evidente, o meglio è più limpido, sapendo per il vero che per tutti i primi album di De Gregori si deve accettare il mistero di non poter capire tutto, forse la metà, ma che ciò deve bastare.
Per questo motivo per giudicare e parlare di un album di De Gregori, di uno tra i primi album di De Gregori, per giudicare e parlare di un album in particolare (l’omonimo “Francesco De Gregori”) penso sia giusto non fermarsi dove ci si ferma di solito, ma utilizzare con un pizzico di prospettiva le parole per raccontarlo senza avere pretesa di descriverlo con un metro convenzionale. Buon Proseguimento.
Francesco De Gregori , Francesco De Gregori
L’album “Francesco De Gregori” nasce nel 1974, è chiamato spesso “La Pecora” per l’immagine originale di copertina, nato per un’idea originale del cantautore romano, è composto da 11 tracce :
Niente da Capire
Cercando un altro Egitto
Dolce amore del Bahia
Informazioni di Vincent
Giorno di Pioggia
Bene
Chissà dove sei
A Lupo
Arlecchino
Finestre di Dolore
Souvenir
Dunque questo è tutto quello che ti posso dire sull’album in modo convenzionale, giusto per avere due idee a riguardo e non perdersi. Tuttavia il mio scrivere di queste righe nasce dal voler fare un regalo a De Gregori ed a tutti quelli che gli vogliono bene, pensando che, tutto ciò che è stato scritto e detto in modo convenzionale su un album che di convenzionale ha nulla, tutto ciò sono state parole che hanno lasciato il proprio senso nella nascita delle stesse.
Certo non è facile ricondurre le nostre esistenze ad un qualcosa di definito, cosa che si fa spesso. Ma dico il cercare di consolidarsi con ciò che qui c’è e qui abbiamo, sebbene spesso ci si ritrovi nell’impossibilità di definire ciò che davvero possiamo afferrare di vero e tangibile; è con questo pensiero che mi piace sentire il primo brano “Niente da capire” : come se qualcosa che tutti quanti ci affanniamo ad avere sia spesso inconsistente così come ciò che si deve capire, cioè nulla. Per questo motivo De Gregori coglie immagini di vite e d’amore associate all’abbandonarsi della nostra esistenza e sorridere di noi e di ciò che siamo.
La raccolta di immagini è un motivo che si ricollega al secondo pezzo: “Cercando un altro Egitto”, in cui anziché cogliere fantasmi di vita ed amore De Gregori prende l’essenza dell’immagine stessa, ossia il sogno, trasportandolo in un brano che racconta di sentimenti, caos, terra e passato, quasi spezzato dalla frase “ e loro dicono non è più vero niente” in un rincorrersi di fantasia la realtà, colta dalla frase in prospettiva: “ … i bambini, i bambini sono tutti a giocare”. E’ nella conclusione di testo che De Gregori scaccia “l’amore curioso” dal proprio sogno : “amore!, Amore naviga via devo ancora svegliarmi.”
Era il 1974 quando uscì “Francesco De Gregori”, ma la terza traccia è la fine di ogni nostra storia d’amore, anche le attuali e le precedenti, con il volersi sentire addosso la ragione di ciò che è successo. Il “Dolce amore del Bahia” è la nostra storia d’amore e di odio, è tutto il nostro rimpianto per i nostri giorni e per le nostre vite assieme, ma con la voglia di schizzare in un altro contesto alla ricerca di un amore che sarà e che non si fermerà dove già è stato, il tutto nella contraddittoria frase a doppia visuale: ”ma io sono stato dove tu mai”. A prescindere da “Vincent” di McLean, testo a cui “Informazioni di Vincent” fa riferimento, De Gregori in questa canzone parla di ogni nostra brutta interpretazione, riferendosi alla pochezza di tante nostre “imprese” e “attenzioni”, ma rimanendo speranzoso che la pagina possa essere voltata, consapevole che “…non c’è proprio niente che non va”, e che è possibile raggiungere le cose davvero importanti e vere ed essenziali.
Così come la pioggia il primo Maggio o come la pioggia a Seattle, o come la pioggia qui al Nord, comunque vera, certa ed essenziale per il mantenimento sia delle nostre certe tristezze sia di tutti i giorni belli. Per questo in “Giorno di Pioggia” De Gregori prende tante tristi immagini e le riconduce ad una giornata piovosa, quasi a voler sancire che si, esistono, ma non per sempre. Il tutto intelligentemente scandito da azioni figlie della pioggia, che come la pioggia raccolgano l’essenza della provvisorietà ed incomprensione.
Un tema triste se vogliamo, così come in “Bene”, uno scorcio autobiografico con riferimenti alla propria infanzia per parlare di una storia d’amore: entrambe le situazioni sono sviluppate in modo parallelo e nostalgico. L’importanza delle cose, degli ambienti passati contrapposti alle proiezioni delle storie recenti, senza dare riferimenti temporali; il tempo della settima traccia “Chissà dove sei”, invece, è brevissimo: 90 secondi per una canzone d’amore, con figure astratte di se e di Lei, perduta nei segni e le sue speranze di vittoria.
Tre storie sempre astratte, ma dedicate ad un uomo, Lupo, amico di De Gregori e partito per “il grande viaggio” troppo presto. Tre storie d’amore astratte di un’intensità memorabile, tutte concluse con un ritornello che esorta al non possesso delle stesse storie narrate ed all’incapacità del cantautore di poterle definire entro una conoscenza fisica: “la casa”. “A Lupo”, ottavo brano dell’album, è una canzone tale riempire le insonni ore notturne: “riuscirono a fuggire proprio a mezzanotte, senza colpo ferire senza fare rumore…”, ed il cuore di Lupo che non è qui per poter giurare “sulla sua bambina” proprio come era solito fare.
“Arlecchino” costituisce la metafora di una vita artistica e delle vicissitudini di un uomo, del mondo che lo circonda e di come questo mondo sia riconducibile ad una gabbia (“cella”), senza troppo credere ad una libertà di espressione . Ciòche in “Finestre di dolore” è il Leitmotiv di un intero testo (libertà di espressione) che risulta difficilmente descrivibile. Esistono opere artistiche di difficile interpretazione o forse talmente grandi che chi ne scrive non è in grado di giudicare completamente. Mi sento troppo piccolo per le “Finestre di dolore” di De Gregori, mi sento piccolo al cospetto di un grande prodotto artistico troppo grande per poter aver un giudizio oggettivo. Una canzone accompagnata da sola chitarra è un’ esplosione di significati. Ed Io, che mento nel credere di averla capita, voglio rimanere come il Giuda descritto nel testo: “ …e Giuda era ancora un ragazzo”. Il disco si conclude con “Souvenir”, uno spiraglio d’amore e di durezza, con un pizzico di auto ironia malinconica :” … e faccio di mestiere il venditore di risate, al circo che si tiene al Lunedì ragazza mia ci andresti mai? .. “.