Per questo motivo a quasi mezzo secolo dall’uscita delle prime tracce, mi sembra doveroso ricordare il cantautore Gaetano, che in vita compose sei trentatre giri: Ingresso libero, Mio fratello è figlio unico, Aida, Nuntereggae più, Resta vile maschio, dove vai?, E io ci sto.
La partecipazione, al festival della canzone italiana nel 1978 cantando “Gianna” , fu un momento in cui la sua carriera di Gaetano vide un crocevia verso un periodo difficile. Pur presente sul palco dell’Ariston e ricordato da tanti contemporanei per l’esecuzione brillante, da quel momento si arrese parzialmente al conformismo delle case discografiche, anche se il successo di “Gianna” fu notevole, classificatosi terzo al festival divenne una “hit” nelle discoteche italiane.
Prima di ciò, però, Rino Gaetano lasciò il segno nel panorama della musica italiana soprattutto nel 1976, un riconoscimento questo che le generazioni successive ed anche la contemporanea rende al cantautore. Nel 1976 compose “Mio fratello è figlio unico” , un lavoro che rappresenta il suo il culmine artistico, in cui il tema portato tra le parole è l’emarginazione, il cui simbolo è il cane della copertina, che Gaetano descrive come l’esempio più chiaro di solitudine, uniformando ed espandendo il concetto alla gente di tutti i giorni, di allora e di sempre.
Delle otto tracce presenti, le più dense di significato risultano l’omonima “Mio fratello è figlio unico”, “Al compleanno della zia Rosina”, “La zappa …. il tridente, il rastrello, la forca, l’aratro il falcetto, il crivello, la vanga”. Questa è una ballata in originalissimo stile e tutta da contemplare, mentre nelle altre citate lo stile è denso di tristezza e rassegnazione, ma chiare nel contenuto, decritto con parole semplici. “Mio fratello è figlio unico” è il lamento a tratti urlato di disperazione per gli uomini che siamo, per tutto ciò che ci porta fuori dalla vita da vivere, tristi nelle proprie credenze; un lamento per tutto ciò che subiamo e che ci annulla nei nostri giorni “calpestati”, “odiati”, “derisi” e “disgregati”, ponendoci tutti quanti come soli e figli unici. “Al compleanno della zia Rosina” risulta un breve racconto di scena, il compleanno della zia Rosina, appunto, “come la notte, come le mie cotte”, dove la solitudine in cui sprofonda il protagonista si manifesta nell’elevato tasso alcoolico che impedisce di cogliere nella festa il giusto momento: “il treno non passa ancora, eppure Io lo aspetto” e lo scenario tetro di un funerale probabile (quello di Gaetano). Certo è con l’irreale predisposizione all’accettare ciò che sarebbe venuto con la propria scomparsa che Gaetano ci ha lasciati e spiazzati, ma a quaranta anni dall’uscita di queste tracce ricordo Rino Gaetano per il semplice ragazzo di allora, dallo sguardo acuto, il volto pallido e l’espressione di chi aveva idee nel cuore e nella testa, di cui la carriera artistica ne è stata l’espressione più densa di significato.