Mentre faglie come quella di Sant’Andrea in California si estendono in modo lineare per migliaia di chilometri (fattore che rende più semplice prevedere le zone che verranno interessate da un eventuale terremoto), la frattura appenninica si dirama in modo frammentato e disomogeneo. All’interno di questo sistema di mini-faglie irregolari si possono innescare pericolosi effetti-domino. Nel momento in cui una certa porzione di faglia si attiva e si genera un sisma, la forza delle vibrazioni può arrivare a “toccare” i circostanti settori della faglia, attivandoli e provocando così nuovi sismi. Questo processo è stato innescato dal terremoto di Amatrice e Accumoli del 24 agosto che, con la sua potenza, ha dato inizio alla catena sismica di questi giorni. Il terremoto si è così spostato verso Nord, da Amatrice verso Visso e Ussita, per poi ripiombare più a Sud nell’area di Norcia. L’intervallo di tempo tra le scosse telluriche “centrali” e quelle conseguenti adiacenti non è prevedibile. Può variare da decine di anni a giorni o mesi, come dimostrano gli avvenimenti recenti.
Anche se l’avanzare del contagio sismico appare preoccupante, in realtà si sarebbero potuti manifestare scenari assai peggiori. Infatti, la propagazione sequenziale dei sismi fa sì che si verifichino terremoti forti ma non fortissimi. “Molto peggio sarebbe stato se tutti questi segmenti della faglia (Amatrice, Visso, Norcia) si fossero mossi tutti insieme – ha dichiarato Gianluca Valensise, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – in tal caso, si sarebbe generato un terremoto di magnitudo almeno 7,0“.