Il giorno della sua morte, la piccola Asanda Mbuku si trovava a casa di un’amica della madre, anche lei con un figlio di 9 anni. Quando il bambino le ha detto che l’amichetta non si svegliava più, la donna ha temuto che si fosse sentita male. Avvicinandosi ha però notato che era mezza nuda e sveglia, benché non reagisse agli stimoli. “Ho provato a risvegliarla con l’acqua – ha raccontato – sembrava sotto choc”. Poi la 32enne ha realizzato che era stata violentata dal figlioletto e a quel punto, per timore di possibili conseguenze, ha deciso di ucciderla. “L’ho colpita in testa con una roccia – ha ammesso in tribunale – e ho seppellito il cadavere in giardino, per poi bruciare i vestiti”.
Il giorno dopo il delitto, il bambino è stato portato a scuola come se non fosse accaduto nulla mentre alla madre d Asanda era stato detto che la bambina era scomparsa. Così, mentre la famiglia della piccola formava squadre di ricerca, la donna ha provveduto a far sparire ogni traccia di quanto accaduto in casa. Non aveva considerato però che il figlioletto non sarebbe riuscito a reggere a lungo la menzogna: una volta tornato a casa, ha raccontato tutto alla zia. “Quella donna ha agito pensando di proteggere il figlio – ha dichiarato il giudice Tshifhiwa Maumela – ma non si è resa conto che non avrebbe corso pericoli: per la legge del Sudafrica, un bambino con meno di 10 anni non è ritenuto responsabile delle sue azioni”.