Woodstock: un nome, una leggenda. Quattro intensi giorni di kermesse musicale per il più grande evento che sia mai stato realizzato nel mondo: Jimi Hendrix, Joan Baez, Santana e The Who sono solo alcuni tra i grandi artisti che si sono esibiti su quel palco, scrivendo una delle pagine più importanti della musica rock. Tuttavia, oltre ad essere un festival musicale, Woodstock ha rappresentato un punto di svolta sociale e culturale, scolpendo una nuova generazione e creando nuovi ideali. Tutto questo si intreccia ad aspetti prettamente manageriali: infatti sin dall’inizio il business è stato al centro dell’organizzazione di questo evento, che nasce come un’iniziativa commerciale, una possibilità di guadagno. Dopo i revival organizzati nel 1994 e nel 1999, in questi giorni uno dei fondatori di Woodstock, Michael Lang, lancia la proposta di ripetere l’evento nel 2019, a cinquant’anni dalla prima edizione.
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LA STORIA – E’ il 1969 quando John P. Roberts e Joel Rosenman pubblicano un annuncio sul New York Times: “Uomini giovani con capitale illimitato cercano interessanti opportunità, legali, di investimento e proposte d’affari”. Così, vengono immediatamente contattati da altri due giovani protagonisti della storia di Woodstock: Artie Kornfeld e, soprattutto, Michael Lang. Gli abitanti del paese in cui si sarebbe dovuto svolgere l’evento si oppongono ferocemente. E’ un designer di Manhattan ad indicare agli organizzatori la nuova location: Bethel, una cittadina a 69 kilometri da Woodstock. Non c’è alcuna organizzazione, non ci sono fondi, sicurezza, media, sponsor: l’unico giornalista che si reca nel 1969 a Woodstock lo fa per criticare l’evento.
50.000 sono gli spettatori previsti dagli organizzatori: ne arrivando circa 500.000, tutti animati dagli stessi sentimenti di pace, speranza, entusiasmo e profondo antimilitarismo. Infatti, questi sono gli anni della guerra degli Stati Uniti in Vietnam e la rabbia si esprime attraverso la musica. Così si crea una società: ragazzi con i capelli sciolti, giovani che fanno il bagno nudi e che si rotolano nel fango. Gli spettatori sono i veri protagonisti: nonostante ci siano numerose band ad esibirsi, l’esperienza è bottom-up: è qualcosa che parte dal basso, dai singoli spettatori, e va verso l’alto. Questo festival nasce a scopo di profitto ma si tramuta in un free concert e gli organizzatori usano i pochi soldi che hanno a disposizione per allestire il palco, arrivando anche a chiedere ai cantanti di esibirsi gratis. Non c’è nessun guadagno, ma si crea il brand Woodstock.
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LE EDIZIONI DEL 1994 E DEL 1999 – Così l’evento viene riorganizzato nel 1994 e nel 1999, perdendo tutta quella carica di valori sociali e culturali che hanno invece caratterizzato la prima edizione. Lo spettacolo si sposta dal prato al palcoscenico e diviene un’esperienza top down: organizzato, pianificato, previsto, controllato, qualcosa che viene replicato secondo una logica seriale, in cui gli spettatori non sono più protagonisti. Non che ci sia qualcosa di male nel creare un servizio più efficiente e più profittevole, ma è bene rimarcare le distanze da quello che è stato e che ha rappresentato Woodstock nel 1969.
WOODSTOCK 2019 – Oggi, Michael Lang pensa di organizzare un nuovo Woodstock nel 2019, in occasione dei cinquant’anni da questo avvenimento indimenticabile. Il suo sogno è stato dichiarato alla rivista “Rolling Stone”: riproporre la stessa atmosfera di quegli anni. Sicuramente l’impresa non è delle più semplici in un mondo completamente diverso rispetto alla grande rivoluzione culturale degli anni Settanta, di cui Woodstock ha rappresentato il preludio. Il più grande ritrovo di musica rock, i giorni di “Peace and Music”, la ribellione agli standard della società come verranno reinterpretati nel XXI secolo? Di certo i nostalgici posso gioire: Woodstock 2019, dopo le parole di Michael Lang, è più che un sogno.