Il Jobs Act ottiene il via libera alla Camera con appena 316 voti favorevoli, uno sopra la maggioranza assoluta. Su tale votazione, ha pesato particolarmente la “dissidenza” di un gruppo di più di trenta deputati della minoranza dem: 29 di questi non hanno votato, due hanno detto “no”, due astenuti mentre altri cinque non hanno partecipato alla votazione. La maggioranza ridotta è veramente ridotta allo stremo. Il tweet di Renzi, alla fine, esprime soddisfazione per il risultato ottenuto.
I numeri parlano chiaro: 250 deputati del Pd hanno votato favorevolmente al Jobs Act, su 307 membri. Quattordici di questi erano in missione, sette erano assenti “giustificati”. Al contrario, sono 33 quelli ingiustificati di cui 29 hanno scelto di non votare per manifestare la loro contrarietà all’emendamento.
Pippo Civati…
Pippo Civati e Luca Pastorino si sono opposti duramente al Jobs Act voluto da Matteo Renzi. La scelta di non votare, invece, è stata accolta da altri due membri del partito civatiano in maniera differente rispetto agli altri membri dell’opposizione. I no, alla fine, in totale sono stati solamente sei e gli astenuti cinque.
I partiti della maggioranza (Ncd, PI, Sc) hanno messo alle strette il governo senza contare le numerose assenze, mentre l’opposizione ha attuato un’operazione alquanto inedita capeggiata dal Sel: sono usciti tutti dall’Aula, grilli e vendoliani, berlusconiani e leghisti. In totale, inclusi i dem, sono 260 i deputati che non hanno votato il Jobs Act.
I numeri finora presentati possono essere tranquillamente confrontati con quelli delle fiduce ottenute dal governo di Matteo Renzi alla Camera. Quando divenne Presidente del Consiglio, infatti, ottenne 378 sì, 220 no e 1 astenuto. Il 4 novembre scorso, in merito alla giustizia civile, ci furono 353 sì e 192 no. Alla fine, comunque, il rischio è stato molto alto ma la maggioranza è stata ottenuta. Per il Jobs Act non c’era bisogno di alcuna maggioranza qualificata, ma giunge un messaggio poco rassicurante riguardo ai prossimi voti sulla fiducia.