Lo stesso meccanismo è stato finora al centro della teoria del sonno più accreditata nella comunità scientifica, che propone quest’attività fisiologica come fase di reset dei neuroni sollecitati eccessivamente durante il giorno da attività di apprendimento e lento ma progressivo sviluppo cerebrale. Un’ipotesi del genere sembrava inevitabilmente spiegare la nostra necessità di dormire, ma è stata smentita dalla ricerca di G. Turrigiano ed i ricercatori della Emory University di Atlanta. A differenza di studi analoghi, basati prettamente sull’osservazione di animali anestetizzati o colture cellulari, l’equipe ha lasciato i topi liberi di interagire con l’ambiente circostante secondo il proprio comportamento istintuale, in modo da non interferire con il loro naturale ritmo sonno-veglia. In seguito deprivate della vista da parte di un solo occhio, le cavie hanno subìto l’impianto di elettrodi nella corteccia visiva e sono stati monitorati per 6 giorni consecutivi, al termine dei quali sono stati ricavati ben 6 Tb di dati.
La deprivazione è servita come elemento di perturbazione della normale attività neurale, alla quale fisiologicamente avrebbe seguito la plasticità omeostatica che potesse sopperire a tale danno. Come mostra il grafico, ciò è accaduto soltanto nello stato di veglia, mentre durante il sonno è stata assente. Ciò non solo mette totalmente in discussione la teoria del sonno attuale, ma apre un nuovo filone della ricerca grazie alle nuove domande create da questa scoperta, che per ora resta fonte di dubbio e necessita di spiegazioni esaustive del fenomeno, nonostante abbia fornito una sua descrizione soddisfacente.