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Panarea, reperti antichi sul fondo del mare a di rischio furto

Nel 2010 gli archeologi siciliani avevano individuato nel mare vicino Panarea, la più piccola delle isole Eolie, quattro straordinari relitti di periodo romano databili tra I e II secolo d.C. La scoperta, avvenuta a 85 metri di profondità, aveva subito rilevato la presenza all’interno dei relitti di numerosissime anfore intatte, adibite al trasporto di di grano, vino e garum (una salsa di pesce molto apprezzata all’epoca). Da ciò si può desumere che le navi fossero dei mercantili, e probabilmente l’eccessivo carico ha provocato il naufragio lungo la trafficata rotta tra la costa meridionale italiana e la Sicilia.

Prossimamente gli archeologi della Soprintendenza, che hanno creato una mappatura dei reperti con l’ausilio del Rov (Remotely Operated Vehicle) e di team americano della Fondazione Aurora Trust, torneranno ad ispezionare i resti delle navi per continuare a studiarne il carico. Interverranno alcuni sub esperti di immersioni di alto fondale, che faranno gli opportuni rilevamenti con la tecnica all’avanguardia del rebreather.

 

L’urgenza di continuare lo scavo subacqueo è data dal fatto che nemmeno nelle profondità marine le antichità sono al riparo dai furti. Nel tentativo di rubare i reperti, sono state rotte alcune anfore, e sono stati addirittura individuati segni di alterazione che fanno pensare ad un cavo metallico per trasportare in superficie alcuni dei tesori sommersi. Il soprintendente del Mare della Sicilia, Sebastiano Tusa, ha dichiarato che tra luglio e agosto sul più bello dei relitti rimasti, chiamato Panarea III, che ha restituito uno splendido altare portatile con tanto di iniziali del proprietario. “L’alta profondità a cui giacciono i reperti – ha detto il Soprintendente – costituisce un buon deterrente contro i furti. Pensiamo che non sia affatto facile trafugare materiali a 100 metri sott’acqua”.

Intanto è stato attivato il divieto di pesca, immersione ed ancoraggio, supervisionato dai Carabinieri e dalla Capitaneria di Porto. Tuttavia, il pericolo forse più verosimile è quello rappresentato dalle maglie metalliche delle reti a strascico, che rischiano di intrappolare e distruggere le anfore. A questo proposito Tusa mira a “sensibilizzare le marinerie costiere di Messina e Reggio Calabria che si spingono sino a queste acque”. Come ulteriore precauzione, si pensa di proporre un bando per un progetto internazionale per realizzare la rete di telecontrollo al fine di proteggere l’area.