La tecnica del patch genetico risulta invece essere la più gettonata per riportare in vita il mammut lanoso. Il progetto prevede di estrarre il DNA del mammut, selezionare i geni identificatori della specie e trasferirli nel DNA di un elefante. Questo approccio non produce copie geneticamente identiche agli animali estinti, ma animali simili nell’aspetto e nel comportamento. La stessa tecnica è, a detta degli esperti, la più indicata per risvegliare anche il piccione migratore, estintosi nel 1914. Simbolo della morte causata dall’uomo, il mammut è sicuramente l’animale più affascinante tra i possibili prossimi alla rinascita. Dotato di lunghe zanne ricurve, di una notevole mole, appesantita ulteriormente da una pelliccia lanosa è l’estremo rappresentante della prima storia dell’uomo. Il piccione migratore, di più recente estinzione, invece, rappresentò un avvertimento per gli americani. Dopo la sua scomparsa l’interesse per la salvaguardia degli animali crebbe notevolmente. Ma, mettendo da parte la portata simbolica, quali sono le ragioni per prediligere il risveglio di alcune specie al posto di altre?
La de-estinzione, assicurano gli studiosi, non è un capriccio, ma un atto per la salute del pianeta. Non solo la biodiversità trarrebbe vantaggio da eventuali rinascite, ma ruoli ecologici ormai scomparsi verrebbero ripristinati. “Lo scopo di queste ricerche è ricostruire gli antichi equilibri che sono stati alterati, quasi sempre per effetto dell’uomo”, ha spiegato Donato Matassino, ricercatore a capo del progetto europeo per riportare in vita l’uro, il bue primigeno estintosi nel 1600. Ogni animale scomparso aveva una sua funzione specifica: la missione degli scienziati è riattivarla. La precedenza verrà data alle specie che rispettano il criterio di maggiore utilità. “Quando dieci millenni fa il mammut venne ucciso dall’uomo la prateria si trasformò in tundra” ha dichiarato Sergey Zimov, scienziato russo fondatore del Pleistocene Park della Siberia. Perché la steppa è così importante? La tundra che ha preso il suo posto, scongelandosi, rilascia gas serra. Al contrario, la prateria avrebbe trattenuto il carbonio, contenendo il riscaldamento globale.
Persino il ruolo esercitato dalla colomba migratrice non è da sottovalutare. Le foreste del Nord America non sono state più le stesse dopo la sua estinzione. Le querce bianche hanno infatti perso chi disperdeva i loro semi. L’uro, invece, calpestando il pascolo, impediva ai cespugli di crescere, mantenendo in equilibrio il suo ambiente naturale. In conclusione, secondo i ricercatori, il ripopolamento della Terra con animali estinti permetterebbe di salvare il nostro pianeta dal declino e riportarlo alla prosperità perduta. Ma questo investimento non convince affatto gli ambientalisti. Infatti, il metodo “a tutto c’è rimedio, perfino alla morte” proposto dagli scienziati potrebbe portare effetti negativi sulla salvaguardia degli animali ancora esistenti. Ciò che è certo è che ci vorranno decenni prima che il mammut compia un nuovo primo passo o che il piccione migratore torni a librarsi in volo. La de-estinzione è di fatto ancora lontana, ma il dibattito rimane aperto.