«Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui la presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini delle della limitazione delle nascite.»
Questo il testo dell’articolo 1, legge numero 194 -Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza-, che regola dunque l’accesso all’aborto, sostenuta dal Partito Radicale e dal Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto (CISA). Questa legge, nel 1976, aveva raccolto oltre 700.000 firme per un referendum abrogativo circa gli articoli del codice penale italiano (art. 545) che considerava reato l’interruzione volontaria di gravidanza, siglata IVG.
Nello specifico, la legge da abrogare, puniva con reclusione qualsiasi atto causante aborto nei confronti di una donna non consenziente, nei confronti di una donna consenziente (con reclusione comminata sia all’esecutore dell’aborto, sia alla donna stessa), e ancora, qualsiasi atto compiuto al fine di procurarsi l’aborto e l’ istigazione o fornimento di mezzi per procedere ad esso.
Con l’entrata in vigore della legge n°194 (confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981), è permesso alla donna di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica nei primi novanta giorni di gestazione, tra il quarto e il quinto mese è possibile ricorrervi solo per motivi terapeutici.
La prima iniziativa da compiere, secondo Emma Bonino (nume tutelare del diritto di IVG), intenzionata ad attuare un tagliando con lo scopo di far funzionare meglio la legge a favore delle donne, sarebbe cambiare il compromesso iniziale, per il quale la stessa operazione si può fare nelle strutture pubbliche e non in quelle private, «ma non mi pare ci siano le condizioni e la forza per farlo. Basterebbero nuove linee guida» afferma. «Chiariamoci» continua, «è un reato o non lo è?». «Al centro deve restare la scelta della maternità e il diritto ad esercitarla».
L’articolo tratta anche dei consultori e dei loro obblighi a rendere informata la donna in stato di gravidanza sui diritti, e delle gestanti in maniera laborale, sui servizi di cui può usufruire, sui rischi che va correndo a seguito di una interruzione di gravidanza, contribuendo a far superare le cause che hanno instaurato nella donna la volontà di attuare la IVG. L’interruzione di gravidanza è prevista dalla legge con la presenza di «circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito». La legge permette inoltre l’obiezione di coscienza da parte del ginecologo che non può però sollevare contestazioni nei casi in cui l’intervento sia «indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.»
Al riguardo, la sacerdotessa Bonino, si rivolge in un’intervista dicendo: «I medici scoprono di avere una coscienza dopo essere stati assunti, non prima. […] Pretendo che le istituzioni facciano rispettare la legge». La Bonino afferma inoltre di non essere intenzionata a proporre la normazione dell’obiezione di coscienza ma condivide l’iniziativa della Regione Lazio a indire il concorso per i medici non obiettori «nessuna discriminazione, serviva personale per stare dentro i dettami della legge». «Ancora, nel nostro paese, prevale un’idea punitiva. […] Si è ancora convinti che si debba partorire con dolore e abortire sotto tortura».
Emma Bonino promuove inoltre la commercializzazione della Ru486, steroide sintetico sotto forma di pillola utilizzato come farmaco per l’aborto chimico nei primi due mesi di gravidanza, prodotto dall’azienda Roussel Uclaf, che ha il vantaggio di non chiedere alcun intervento chirurgico, oltre a non rendere indispensabile l’ospedalizzazione. In Italia «Quasi tutte le donne firmano ed escono, però stiamo sempre lì: resta questa specie di barriera […]. La 194 ha bisogno di un tagliando». La scienza evolve e dunque anche leggi e strutture devono farlo.