Lavoro, quando la crisi colpisce al cuore: 2 storie emblematiche

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L’ Italia scivola sempre più in basso, tra lavoro che non c’è e crisi economica sempre più dilagante. Da papabile super potenza europea, il Bel Paese sta diventando, man mano che il tempo passa e i vari Governi si succedono, una Nazione in crisi. Accogliamo povere anime provenienti dal Terzo Mondo su barconi fatiscenti, mentre i potenti promettono agevolazioni, aiuti, abbassamento delle tasse, qualche spicciolo in più sulla busta paga. Ma il lavoro, quello vero, che nobilita l’ uomo, dov’è? Come possiamo riabilitare la dignità di profughi bisognosi se la nostra Nazione non riesce nemmeno a garantire il sostentamento dei cittadini italiani stessi?

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La disoccupazione giovanile in Italia è notevolmente cresciuta, stando agli ultimi dati raccolti e chi ha uno “straccio” di lavoro, purtroppo, non sempre vive di certezze. La crisi colpisce soprattutto i piccoli imprenditori, coloro i quali investono soldi, fatiche e tutta la propria buona volontà nella realizzazione di un’ attività che possa provvedere al sostentamento della propria famiglia. Lo Stato, però, non aiuta: tra tasse, controlli, pile di scartoffie da compilare, spesso l’ attività fallisce ancor prima di essere avviata per bene. Spesso dimentichiamo che dietro a tali storie si celano persone vere: volti, sogni, disperazione, esistenze spezzate da una crisi senza pietà.

Ci sono vicende che emergono dalla massa, esempi eclatanti di come la crisi del lavoro possa mietere vittime, spezzare famiglie, ledere la dignità personale di ciascuno di noi. In questi giorni sono due, in particolare, i volti che simboleggiano l’ inadeguatezza dello Stato di fronte alla crisi occupazionale. Due “eroi tragici”, sotto certi aspetti, che rispondono ai nomi di Giovanni Irrera e Salvatore La Fata. Due vicende diverse, due differenti epiloghi, ma un unico, inquietante punto in comune: Giovanni e Salvatore sono due uomini piegati dalla crisi.

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Giovanni Irrera è un Siciliano emigrato al Nord. Una storia comune a quella di altri conterranei e cittadini meridionali che si spostano di regione in regione in cerca di stabilità e – perchè no? – anche della speranza di poter mettere su famiglia, un giorno. Irrera era riuscito nel duplice intento: si era sposato con una donna meravigliosa, dalla quale aveva avuto due splendidi bambini. La famiglia felice viveva a Codevigo, mentre Giovanni possedeva una piccola attività – era riuscito a diventare gestore di un bar – nella vicina città di Chioggia. Sembrava filare tutto liscio. La mattina del 3 settembre, però, l’ equilibrio costruito a fatica da Giovanni si spezza. Emergono tutte le difficoltà economiche dell’ uomo, al quale la crisi aveva tolto il piccolo, piacevole diritto di alzare, con il sorriso sulle labbra, la saracinesca del proprio bar. La crisi ha portato Giovanni Irrera a dileguarsi nel nulla, lasciando alla moglie affranta solo un biglietto, dai toni sconcertanti: “Non mi sento all’ altezza della mia meravigliosa famiglia”.

Dov’ è finito Giovanni? Stando alle ultime ricerche portate avanti dalla trasmissione “Chi l’ ha visto?”, il giovane avrebbe vissuto da indigente in alcune comunità di accoglienza vicino Perugia. La speranza è quella di rintracciarlo e riportarlo a casa, dalla sua meravigliosa famiglia, prima che possa accadergli qualcosa di brutto.

Qualcosa di terribile, invece, è già accaduto a Catania dove Salvatore La Fata, ex operaio edile reinventatosi fruttivendolo ambulante, soffocato dalla crisi che, impietosa, lo aveva colpito sul piano professionale, ha deciso di farsi fuoco nel bel mezzo di Piazza Risorgimento. La crisi, in questo caso, non ha solo il volto di Salvo – così era affettuosamente chiamato da parenti e amici – ma anche dei Vigili Urbani che non hanno (volutamente?) fatto nulla per evitare che tale scempio si consumasse dinnanzi ai loro occhi. L’ unica colpa di Salvo La Fata è stata quella di aver occupato abusivamente quel posto: un nostro connazionale era, quindi, ridotto alla stregua dei “vu cumprà” da spiaggia.

Era il 19 settembre quando, di fronte alla notifica dei Vigili che intimava a La Fata di lasciare libero quel posto occupato abusivamente, Salvo ha minacciato di darsi fuoco. Secondo alcuni testimoni oculari, gli agenti municipali avrebbero risposto provocatoriamente a quella che sembrava solo una minaccia verbale. “Fallo, ma spostati più in là” avrebbero intimato i funzionari: un vero e proprio invito a darsi fuoco, un affronto, al quale La Fata avrebbe reagito senza mezzi termini. L’ ambulante sarebbe arso vivo per circa 40 secondi, senza che nessuno potesse (o volesse?) far nulla per impedirlo. Sarebbe stato, poi, lo stesso Salvo a “spegnersi”, gettandosi addosso il solito secchio d’ acqua che portava con sé per rinfrescare frutta e verdura.

Trasportato con urgenza all’ Ospedale Cannizzaro di Catania Salvo La Fata, vittima numero due della crisi occupazionale, è morto nella giornata di lunedì dopo ben 11 giorni di coma farmacologico. E’ stata aperta un’ inchiesta sul comportamento, ben poco professionale, dei Vigili Urbani presenti in Piazza Risorgimento su richiesta dei fratelli dell’ uomo, affranti ed indignati per il drammatico episodio che ha visto protagonista il loro amato congiunto. Salvo e Giovanni sono solo due delle purtroppo numerose vittime mietute dalla crisi economica e del lavoro. Chi restituirà loro la dignità perduta?