Da Vienna a Cannes, l’Italia non è stata profetessa nemmeno fuori dai propri confini. Il nostro Paese, culla della cultura del Vecchio Continente, vanta alcuni tra i nomi più importanti del cinema e della musica internazionali. Personaggi che hanno dato lustro al tricolore persino in terra statunitense – Mecca della settima arte e delle sette note – hanno fallito in terra europea, nonostante i mancati riconoscimenti fossero, questa volta, frutto di vere e proprie ingiustizie.
Da Vienna a Cannes i nostri eroi hanno saputo farsi apprezzare, nonostante abbiano sfiorato il “tetto del Mondo” con le dita delle proprie mani senza raggiungerlo o, come nel caso del trio lirico Il Volo, mancandolo proprio di un soffio. Nel corso dell’Eurovision Song Contest tenutosi nella favolosa città austriaca Ignazio Boschetto, Piero Barone e Gianluca Ginoble hanno incantato una platea formata da critici ed appassionati con la loro hit “Grande Amore”, vincitrice a mani basse dell’ ultimo festival sanremese.
I ragazzi si sono classificati al terzo posto, battuti dalla russa Galina Gagarina – medaglia d’argento con la sua “A million voices” e dal belloccio svedese Måns Zelmerlöw con “Heroes”, classificatosi al primo posto. Måns Zelmerlöw ha proposto una canzone orecchiabile, dai chiari ritmi pop-dance che tanto piacciono ai giovani e alle etichette discografiche, non sempre a proprio agio con un trio di giovani tenori che hanno la responsabilità di “sdoganare” un genere difficile ed elitario in un’industria musicale sempre più “inondata” da voci da talent o prodotti massificati “made in USA”.
Da Vienna a Cannes la sorte del trio lanciato dalla Clerici si interseca con quello di un trio diverso di registi di ampio respiro, la cui bravura è riconosciuta persino da più blasonati colleghi stranieri. La Croisette è stata poco generosa con Sorrentino, Garrone e Moretti, i tre cineasti che rappresentavano più che bene la settima arte italiana a Cannes. Reazioni contrastanti erano arrivati dalla Francia per “Youth”, nuovo lavoro del regista Premio Oscar Paolo Sorrentino, con un cast internazionale sul quale spiccava il britannico Michael Caine, star di “Alfie”: capolavoro o brutto elogio alla terza età?
Analoga sensazione aveva suscitato la fiaba dai contorni fantasy “Il Racconto dei Racconti” di Matteo Garrone, al quale va il merito di essersi svincolato dal filone “Gomorra” che tanta notorietà gli aveva portato. Come Sorrentino, anche Garrone aveva a sua disposizione una marea di attori di calibro mondiale – Salma Hayek e Vincent Cassel, per citarne solo due – nonostante ciò, la sua opera ha diviso i critici di Cannes, forse troppo legati ad un Garrone più “d’inchiesta”, tendente a mostrare il “marcio” della nostra italica società.
La delusione più grande per la nostra Nazione è stata però la mancata Palma a Nanni Moretti, che aveva letteralmente stregato Cannes con “Mia Madre”, racconto agrodolce di un rapporto complesso tra una madre e la propria figlia, genitrice a sua volta. Amore, morte, arte erano i perni attorno al quale si svolgeva la trama dell’ultima fatica di Moretti, con una Margherita Buy a dir poco strepitosa, la cui performance non le è però valsa la conquista del riconoscimento come Miglior Attrice (andato ex aequo a Rooney Mara ed Emmanuel Bercot). Moretti ha dovuto “accontentarsi” del Premio Ecumenico, mentre i Presidenti di Giuria – i fratelli Coen – così giustificavano l’imbarazzante “flop” italiano a Cannes: “Non avevamo premi per tutti”.
Pazienza. Da Vienna a Cannes ora sappiamo che l’Italia vale. Non è solo “monnezza” o delinquenza, il nostro Bel Paese.