Anche se nel I secolo d.C. non si sapeva nulla delle origini né delle caratteristiche dell’energia elettrica, tuttavia pare che già in quel periodo gli antichi Romani la utilizzassero per scopi terapeutici, e stiamo parlando di ben 1.700 anni prima degli studi di Galvani. Naturalmente non si ricorreva a generatori di corrente o a particolari strumenti tecnologici, ma a ciò che era presente nel mondo animale e in natura, ovvero ad un pesce, la torpedine.
Quest’animale marino (conosciuto anche come pinastrello) è di forma piatta come una sogliola ma, allo stesso tempo, ha la sagoma che ricorda una razza, mentre le due piccole pinne dorsali richiamano un po’ quelle dello squalo. La torpedine non si muove in banchi, è un pesce che preferisce condurre una vita solitaria e, mentre nelle ore diurne si mimetizza tranquillamente sui fondali marini, quando cala l’oscurità diventa un’abile cacciatrice. In questo frangente, però, risulta particolarmente interessante una determinata caratteristica di questa specie, ossia un organo elettrogeno che si trova lungo i lati del corpo ed è costituito da almeno 500 dischi cartilaginei circondati da un gel che possiede delle proprietà biochimiche molto precise. In tal modo, la torpedine è in grado di liberare delle scariche elettriche che le risultano utili per stordire le sue prede prima di mangiarle, e si tratta di corrente che varia da 8 Volt per gli esemplari più piccoli, fino a 220 Volt per quelli più grandi che vivono soprattutto negli oceani che potrebbero addirittura arrivare ad uccidere un uomo.
Una testimonianza di quanto gli antichi Romani conoscessero questo pesce ci viene, ad esempio, dallo scrittore e naturalista greco-romano Plutarco, il quale scriveva che ha la capacità di immobilizzare chiunque entri in contatto con lei e, in alcune occasioni, anche attraverso la rete da pesca può arrecare dei danni alle mani dei pescatori.
Ma ancora di più ha fatto il medico militare Scribonio Largo, il quale per primo ha messo per iscritto le modalità con cui si poteva sfruttare la particolare qualità del pinastrello. Gli scritti fanno parte delle “Compositiones”, una raccolta di circa 271 ricette per curare varie malattie, dedicata al liberto imperiale Gaio Giulio Callisto. L’opera ha avuto una grande risonanza per tutta l’età imperiale e tardo-imperiale, e addirittura è stata ripresa e rivalutata anche nel Medioevo.
Proprio da questi testi scritti gli studiosi sono riusciti ad apprendere come nell’Antica Roma si usasse una prima forma di “elettroterapia”, ricorrendo proprio alle torpedini. Ad esempio, potevano essere utilizzate per curare il mal di testa o la gotta, ma anche per i dolori artritici. E negli scritti di Scribonio era presente anche una sorta di terapia per combattere l’epilessia, con il medico militare che consigliava di tenere i piedi a contatto con l’acqua durante il ricorso alla torpedine, perché in tal modo si favoriva il passaggio della corrente elettrica e ciò permetteva un passaggio più cospicuo di sostanze verso gli elettrodi.
Dunque, ad oggi, si può dire con una certa cognizione di causa che Scribonio Largo sia stato uno dei grandi precursori della medicina moderna, nonché di quella pratica che oggi viene conosciuta come galvanoterapia. L’ingegner Flavio Russo, storico della tecnologia e ricostruttore di macchine romane, raggiunto dal quotidiano “La Stampa”, ha spiegato che l’evoluzione romana in campo medico-sanitario si ebbe soprattutto quando Augusto, con la sua riforma, decise di arruolare nell’esercito dei medici che avessero una specifica preparazione professionale.
Patrizia Gallina