I ghiacci della Groenlandia sono i depositari della verità sulla storia economica dell’Impero di Roma. Sembra l’incipit di un romanzo di Dan Brown, e invece è proprio la realtà emersa da una recente ricerca storico-archeologica, pubblicata in questi giorni sulla rivista specializzata “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Dunque, per una volta, gli studi storici non si sono basati su antichi documenti, ma sullo studio di una calotta di antichi ghiacci della Groenlandia. Infatti, circa duemila anni fa, i Romani erano soliti fondere i minerali preziosi nelle fornaci, estraendo l’argento necessario per coniare monete e rilasciando, al contempo, diverse quantità di piombo nell’atmosfera. Partendo da questo presupposto, un team di ricercatori ha analizzato i depositi di questo metallo, osservando come l’oscillazione della sua presenza lungo i ghiacci della Groenlandia rappresenti un indicatore realistico e affidabile dell’evoluzione del sistema economico dell’Impero di Roma.
I Romani erano soliti ricorrere al piombo per realizzare le tubature dei loro acquedotti, e anche per rivestire gli scafi delle navi: allo stesso tempo, però, l’elemento chimico veniva utilizzato anche per coniare pezzi di denario, ovvero una piccola moneta d’argento molto diffusa che vedeva la luce in seguito ad un preciso processo metallurgico, durante il quale venivano liberate diverse particelle di piombo. Queste finivano col depositarsi nei ghiacci artici che le hanno “conservate” nel tempo, facendo sì che potessero giungere fino a noi. Fin dagli Anni ’90, gli scienziati hanno misurato i quantitativi del metallo, soffermandosi però su valori inerenti un arco di tempo di circa due anni, dunque poco indicativi per risalire al cambiamento dell’accumulo dell’elemento nel corso dei secoli.
La situazione è decisamente cambiata con l’intuizione di Andrew Wilson, archeologo dell’Università di Oxford, e di Joseph R. McConnell, studioso di carote di ghiaccio (sezioni semicircolari derivanti da carotaggio dei ghiacciai o delle calotte polari), i quali hanno approfondito l’analisi di una sezione di una ghiacciaia della Groenlandia lunga 423 metri, e già estratta per un’altra finalità, ovvero per il progetto North Greenland Ice Core Project. Il campione rilevato dai due studiosi risaliva al periodo storico che andava dal 1.100 a.C. all’800 d.C.
La ricerca è proseguita con la fusione graduale della carota di ghiaccio presa in esame, isolando e spostando a poco a poco i campioni del metallo in spettrometri di massa, che hanno consentito di risalire alla quantità di piombo con una precisione stimata in un miliardesimo di grammo. Grazie a questo lungo lavoro, è stato possibile tracciare circa 1.900 anni di evoluzione economica dell’Impero di Roma, analizzando alti livelli e fasi di diminuzione dell’inquinamento dovuto alla liberazione del piombo nell’atmosfera, messi a confronto con dati relativi alle emissioni non antropiche, come quelle provenienti da eruzioni vulcaniche. Ebbene, le oscillazioni di piombo hanno mostrato un’incredibile corrispondenza con la storia dell’Impero Romano: andavano verso l’alto durante i periodi di pace e prosperità economica (ad esempio durante la Pax Romana del 27 a.C. – 180 d.C.), salvo poi calare quando c’erano conflitti bellici e guerre civili, oppure in caso di gravi epidemie, come la peste antonina del 165-180 d.C.
A confermare la bontà dello studio, il crollo dei livelli di piombo nell’atmosfera si è accentuato sia durante il dominio di Nerone (64 d.C.) quando si decise di ridurre dell’80% la presenza di argento nelle monete, sia con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C.
Nonostante la sua importanza storica, la ricerca non si fermerà qui: infatti gli studiosi sono pronti a rimettersi a lavoro per capire se, grazie ai ghiacci della Groenlandia, si potrà risalire alla provenienza geografica delle particelle di piombo, per avere un quadro ancora più preciso sulle zone dell’Impero di Roma che erano più ricche e attive economicamente.
Patrizia Gallina