Per Matteo Renzi, il 4 dev’essere un numero decisamente sfortunato: dopo il risultato negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 che portò all’avvicendamento con Paolo Gentiloni alla presidenza del consiglio, nemmeno il 4 marzo 2018 è stato clemente con il segretario del Partito Democratico, poiché le elezioni politiche hanno sancito una decisa debacle del suo partito, che non è riuscito a raggiungere nemmeno la percentuale del 20% all’indomani del voto. E così il leader politico toscano ha dovuto prendere atto di questa nuova delusione, con le voci di dimissioni dalla segreteria del PD che hanno cominciato a rincorrersi fin da subito, fino a quando non è giunto l’annuncio di una conferenza stampa indetta da Renzi stesso per lunedì 5 marzo.
E quando tutti si aspettavano le dimissioni immediate da parte del segretario del PD, è giunta l’ennesima mossa a sorpresa: l’addio all’incarico arriverà, ma soltanto dopo l’insediamento del nuovo Governo e nel corso di un Congresso che verrà indetto proprio per eleggere un’altra guida del Partito Democratico. Inevitabile, dunque, chiedersi come mai l’ex Premier abbia voluto rimandare la rinuncia al suo ruolo da segretario, ribadendo al contempo che non ci sarebbe stato nessun “inciucio” con il Movimento 5 Stelle per arrivare ad un accordo che garantisca una maggioranza ai grillini, risultati primo partito italiano dopo le elezioni politiche del 4 marzo. Ebbene, stando a voci di corridoio che circolano proprio in ambiente “democratico”, pare che Matteo Renzi abbia preso questa decisione per contrastare una corrente interna che sarebbe favorevole ad un’apertura proprio verso M5S.
Questa fazione sarebbe stata già ridefinita il “partito di Sergio Mattarella”, poiché filtra che l’intenzione principale del Presidente della Repubblica, in vista dell’assegnazione dell’incarico di formare il nuovo Governo, sia quella di puntare su un accordo di massima tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico. Al contempo, però, questa corrente “sotterranea” (ma non troppo) starebbe anche lavorando per “sfiduciare”, di fatto, l’attuale segretario, costringendolo ad anticipare il momento delle dimissioni. Tra i fautori di una soluzione di compromesso con i pentastellati ci sarebbero degli uomini che, durante la campagna elettorale, erano risultati fedeli alleati dell’ex sindaco di Firenze, e che ora sarebbero pronti a voltargli le spalle, pur di arrivare ad una maggioranza parlamentare basata proprio su un’intesa M5S-PD.
I nomi in questione sarebbero, soprattutto, Paolo Gentiloni e Dario Franceschini che, al contrario di Renzi, sarebbero pronti a valutare l’ipotesi di una collaborazione con Di Maio e colleghi avallata dal Capo dello Stato. Questa fazione si starebbe ingrossando ora dopo ora, andando a coinvolgere anche Del Rio e una serie di esponenti della parte cattolica del PD che non avrebbero affatto gradito la chiusura dell’attuale segretario verso i “grillini”, considerando invece favorevole l’opportunità di avere dei ministri in un ipotetico governo con il Movimento 5 Stelle, in cui il Partito Democratico farebbe da “garante” soprattutto nei confronti dell’Unione Europea.
Di conseguenza, proprio per bloccare sul nascere questo fronte “filo-grillino”, Matteo Renzi avrebbe strategicamente deciso di rimandare le sue dimissioni, facendo così da freno a qualsiasi tentativo di apertura nei confronti del partito di Beppe Grillo. Al contempo, però, il risultato elettorale negativo ha indubbiamente minato la forza dell’ex Presidente del Consiglio all’interno del PD e, qualora i suoi rivali interni dovessero riuscire a metterlo in difficoltà, sopravanzandolo nell’ipotesi di una maggioranza con M5S, non è da escludere che a quel punto Renzi decida di andarsene sbattendo la porta e fondando un suo gruppo-partito che vada a fare opposizione in Parlamento. Insomma, una partita a scacchi tutta interna al Partito Democratico ancora tutta da giocare e da portare avanti, che potrebbe riservare in un futuro nemmeno troppo lontano delle grosse sorprese.
Patrizia Gallina