Le teorie sulla categorizzazione formulate fino ad oggi sono varie, la più recente ha incluso anche la dimensione sociale tra i criteri di categorizzazione della realtà che ci circonda. Nel momento in cui una rappresentazione mentale, cioè un simbolo a cui è associato un elemento reale concreto o astratto, viene affiancata ad altre che sono ritenute comuni ad essa per determinate caratteristiche, si dà luogo ad un concetto. Il processo di categorizzazione si basa proprio su questo sviluppo progressivamente complesso della capacità primitiva dell’uomo di distinguere e/o accomunare due o più elementi della propria realtà.
Le teorie cognitive classiche in merito tendevano ad applicare un solo criterio di discernimento a qualsiasi oggetto portato all’attenzione dell’individuo. Dunque, esseri umani, animali e oggetti inanimati subivano lo stesso processo di classificazione, secondo questi approcci. Con l’avvento delle neuroscienze cognitive, questa prospettiva si è spostata sullo studio dei pazienti cerebrolesi, tra i quali in particolare gli amnesici semantici selettivi presentavano una dissociazione nel riconoscimento degli oggetti e delle persone. Ciò significa che essi avevano un deficit della memoria riguardante prevalentemente le conoscenze generali sul mondo (semantici) e, cosa più importante, una marcata difficoltà a riconoscere esseri animati (“living”), rispetto a quelli inanimati (“not living“), riportati alla mente con facilità probabilmente per la loro frequenza d’uso della vita di tutti i giorni. Questa selettività ha convinto gli scienziati che vi sia una dissociazione tra il sistema che organizza le rappresentazioni mentali degli oggetti inanimati da quello che struttura quelle degli esseri viventi.
La scoperta sembrava autoconclusiva, per cui studi più approfonditi in merito hanno tardato ad arrivare, oltre che naturalmente per la tempistica della ricerca. Tuttavia, l’ultimo studio della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA), in collaborazione con l’Università di Trieste e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Udine, ha svelato il funzionamento di un terzo ed importantissimo sistema di categorizzazione. Si tratta dei gruppi sociali, che nell’ambito psico-sociale sono sistemi dinamici di persone che si relazionano le une con le altre creando aspettative sul comportamento di ciascun membro. Un esempio di categorizzazione per gruppi sociali è quella sugli europei, sui vegani, sui politici, sui bambini. Lo studio è stato condotto da Luca Piretti e la sue equipe su pazienti cerebrolesi a causa di tumori: la strumentazione usata consisteva di una serie di test, combinati a neuroimaging cerebrale, volti a verificare la presenza di vari deficit cognitivi nei soggetti. La rilevazione dell’attività cerebrale in risposta a determinati compiti sottoposti a ciascuno non è stata, però, l’unica risorsa a disposizione degli scienziati: infatti finora questa metodologia è stata efficace solo a determinate condizioni, poiché i vincoli posti dall’uso del neuroimaging sono ancora molti. Per questo, in sede è stato adoperato il “Voxel-Based Lesion-Symptom Mapping”, che consiste in una nuova tecnica computerizzata per l’associazione di determinate attività a domini cognitivi specifici.
Il risultato della ricerca ha confermato quanto Piretti sosteneva, ovvero che uno dei tre grandi sistemi di organizzazione delle rappresentazioni mentali è proprio dei gruppi sociali e che si basa sulle emozioni. Lo scienziato ha spiegato l’esistenza di questi processi sottolineandone la funzione antropologico-evoluzionistica: “La conoscenza dei conspecifici, per l’essere umano, è vitale. Non è strano pensare che nel nostro cervello esistano sistemi funzionali specificamente dedicati a questo tipo di stimoli”. Inoltre, Piretti ha ribadito che studi riguardo la presenza dei gruppi sociali sono già stati effettuati negli anni addietro, ma ciò che mancava al nuovo oggetto di ricerca era il criterio di categorizzazione. Dunque, la vera novità dello studio è il coinvolgimento delle aree cerebrali legate alle emozioni in questo sistema rappresentazionale: perlopiù si tratta dell’amigdala, considerata fin dalle scienze cognitive classiche il fulcro dell’emotività e risultata compromessa nei pazienti cerebrolesi presi in esame.
Anche questo fenomeno ha una ragione adattiva, derivata dal fatto che nell’evoluzione abbiamo conservato questa struttura cerebrale: come la paura scaturita dall’attivazione dell’amigdala porta a reazioni difensive in funzione della sopravvivenza, così anche altre emozioni che delineano i nostri rapporti con gli abitanti del mondo hanno lo scopo di tenerci lontano dal male e vicino a chi pensiamo possa proteggerci. E’ il caso non solo dei legami affettivi ravvicinati da amicizie a parentele, ma anche di quelli che meno ci si aspetta siano coinvolte in questo caso: razzismo, pregiudizi e discriminazioni, anche l’interesse per culture o religioni lontane da noi deriva da un primordiale bisogno di definirci in una determinata posizione rispetto a ciò che ci circonda.