Giovani e “brillanti” ricercatori della blasonata Università di Cambridge sfoggiano con “orgoglio” l’ultima vittima sacrificale della vivisezione per ” alti fini scientifici”. I virgolettati sono d’obbligo per il sadico e disgustoso scatto che sta rimbalzando, accompagnato da duri commenti, sui nostri social network. La notizia è di quelle da far accapponare la pelle degli animalisti e non solo: a Cambridge la vivisezione non solo è legale ma è tutelata dai palazzi del potere della nota città britannica, che fanno quadrato attorno alla sacra istituzione universitaria, giudicando più che legittimo il loro diritto di torturare poveri ed innocenti animali in nome del “progresso”.
Ma il cosiddetto “progresso” può passare attraverso continue e dolorose sperimentazioni su cavie da laboratorio come cani, gatti, scimmiette? L’Università di Cambridge conduce, a detta del Presidente della Camera del Commercio della città John Bridge, delle ricerche più che legali, che non dovrebbero penalizzare l’intera località, come invece auspicato dai sostenitori della campagna Facebook e Twitter #BoycottCambridge.
Si tratta sempre della solita battaglia – business contro civiltà – che vede schierati da un lato i soliti “politicanti” e dall’altro chi sceglie, invece, di abbracciare la “politica” del rispetto nei confronti dell’universo animale, perno centrale, suo malgrado, di esperimenti ai limiti del “nazista”, che prendono il via dalle somministrazioni di farmaci che “dovrebbero” guarire il genere umano dalle più svariate malattie, sino a sfociare in veri e propri esperimenti degni della serie TV “American Horror Story”. Una polemica annosa, che coinvolge tutti – o quasi – i Continenti (basti pensare alla controversa campagna nostrana Telethon, che chiederebbe alla gente comune donazioni per la ricerca, che viene tenuta in piedi da terrificanti test sugli animali), ma che è ben lontana dalla sua definitiva risoluzione.