Alzheimer: nuovo studio rende possibile la diagnosi precoce

Alzheimer
Anziano affetto da alzheimer

La notizia è recentissima quanto inaspettata e giunge direttamente dagli Stati Uniti, patria indiscussa per quanto riguarda numerose ricerche, sia in ambito tecnologico che biomedico. In particolare questo importantissimo studio, la cui pubblicazione sulla nota rivista “Nature Medicine” è stata firmata da Mark Mapstone, neuropsicologo presso l‘Università di Rochester, e coadiuvata da altri colleghi e importanti università statunitensi, infonde speranza nella lotta a questo terribile morbo. Secondo quanto riportato da tale ricerca, un’analisi del sangue con relativa misurazione dei livelli di 10 fosfolipidi, potrebbe essere in grado di rivelare con accurata precisione se e quando una persona sana al momento del test svilupperà i sintomi della malattia di Alzheimer, nei due o tre anni successivi.

Al momento non sono noti in ambito medico processi terapeutici che possano migliorare le condizioni di persone affette da demenza senile. Questa mancanza di mezzi è principalmente legata all’impossibilità nel mettere a disposizione una diagnosi precoce, che sia quindi in grado di anticipare la comparsa dei primi sintomi della patologia.

Grazie a questa ricerca, protrattasi per anni e condotta su oltre cinquecento individui di età superiore ai 70 anni, i ricercatori sono riusciti ad isolare con successo queste 10 sostanze lipidiche sanguigne, che costituiscono una sorta di “indice” relativo all’invecchiamento delle membrane cellulari dei neuroni. Questi cosiddetti “marker consentirebbero ai medici, in un futuro che si spera prossimo, di diagnosticare con una precisione del 90 per cento l’eventuale insorgenza del morbo di Alzheimer, addirittura 2 o 3 anni prima dei sintomi.

Mapstone ha dichiarato che è ancora presto per festeggiare, ma la ricerca rappresenta comunque un importante traguardo. “Il morbo di Alzheimer sta raggiungendo proporzioni epidemiche. Abbiamo bisogno di agire subito. C’è un senso di urgenza sia da parte delle famiglie dei malati che da parte dei ricercatori.” Siamo dunque di fronte ad un’incoraggiante scoperta, sulla strada per una futura quanto sperata diagnosi precoce di questa grave patologia degenerativa del sistema nervoso, anche se bisognerà attendere nuovi studi prima di giungere ad una effettiva applicazione in campo medico.

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