Si è concluso con una standing ovation e lunghi applausi il discorso di Matteo Renzi al Parlamento Europeo di Strasburgo, in occasione dell’inaugurazione del Semestre Italiano di presidenza del consiglio Ue. Il premier italiano apre con una metafora 2.0 per rappresentare la situazione dell’Unione Europea: “Se oggi l’Europa facesse un selfie, che immagine verrebbe fuori? Lo dico con estrema preoccupazione: emergerebbe il volto della stanchezza. In alcuni casi, della rassegnazione. Se dovessi dirla in modo sintetico, direi il volto della noia. Eppure fuori da qui il mondo corre a una velocità straordinaria”.
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NON SOLO STABILITA’, SERVE CRESCITA – Il premier Renzi, che ha parlato a braccio consegnando il discorso scritto alla presidenza, ha poi affrontato il tema delicato della crescita: finora l’Europa si è preoccupato soltanto della stabilità, attraverso politiche di austerità. Tuttavia, è giunta l’ora di cambiare: “Non chiediamo di cambiare le regole ma diciamo che le regole le rispetta chi si ricorda che abbiamo firmato un patto di stabilità e di crescita: c’è la stabilità, ma c’è anche la crescita. E la richiesta di avere la crescita come elemento fondamentale della politica economica europea non la fa l’Italia: serve all’Europa, non serve all’Italia. Senza crescita l’Europa non ha un futuro. Non ci interessa giudicare il passato, ci interessa iniziare il futuro: subito”.
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SIAMO LA GENERAZIONE TELEMACO – Matteo Renzi conclude citando il personaggio di Telemaco, figlio di Ulisse che non può attendere il ritorno del padre, ma deve agire: “Qui non c’è un’Italia che chiede scorciatoie, ma un’Italia che con coraggio e orgoglio chiede di fare la propria parte. E c’è anche una generazione nuova. Una generazione Telemaco”. E’ la generazione di quelli che non avevano neppure diciotto anni quando sono stati presi gli accordi di Maastricht, ma che ha il dovere di riscoprirsi Telemaco e di meritare, quindi, l’eredità europea che hanno ricevuto. “I nostri padri non ci hanno fatto un dono per sempre: è una conquista, da rinnovare giorno dopo giorno”. E conclude: “Il nostro destino è nell’avere il diritto di chiamarsi eredi, di assicurare un futuro a questa tradizione. Lo dobbiamo a chi è morto nel corso dei secoli perchè l’Europa non fosse solo un’espressione geografica, ma un’espressione dell’anima“.