Riforma del lavoro: presentati gli emendamenti della minoranza Pd

riforma lavoro

Sono sette gli emendamenti presentati dalla minoranza del Partito Democratico alla delega sulla Riforma del Lavoro. Infatti, diversi componenti del partito di maggioranza si sono trovati questa mattina nella sala Aldo Moro della Camera, da Stefano Fassina a Rosy Bindi: tema della discussione il Jobs Act di Matteo Renzi. Gli emendamenti sono stati firmati da circa trenta deputati Pd che hanno lanciato un messaggio chiaro al premier: “Siamo pronti a chiedere alla base, agli elettori democratici, di esprimersi sul merito attraverso un referendum”.

LEGGI ANCHE: Articolo 18 e tutele crescenti: in cosa consiste la riforma di Renzi

I SETTE EMENDAMENTI ALLA RIFORMA – La richiesta principale della minoranza Pd è quella che riguarda la revisione del contratto a tutele crescenti: infatti, negli emendamenti al testo del governo si chiede la piena tutela dell’Articolo 18 dopo i primi tre anni di contratto a tutele crescenti. Dopo i primi tre anni, quindi, rientrerebbe in vigore l’articolo 18 e la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Inoltre, la minoranza Pd sottolinea come il contratto a tempo indeterminato debba diventare la forma principale dei contratti, senza essere “schiacciato” tra i contratti determinati e quelli a tutele crescenti.

Il Jobs Act di Matteo Renzi prevede anche la possibilità per il datore di lavoro di cambiare la mansione di un dipendente, in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale. La minoranza Pd non si oppone a questa proposta, ma ritiene necessaria la presenza di “parametri oggettivi” e soprattutto di un accordo tra le due parti, senza che la decisione finale spetti unicamente all’imprenditore. Un altro tema centrale è quello della riforma degli ammortizzatori sociali, che deve accompagnare, anzi precedere, quella del lavoro: “prima la riforma degli ammortizzatori, poi la revisione delle tipologie contrattuali” per garantire maggiore tutela ai lavoratori.

Secondo Matteo Orfini il reintegro non deve essere messo in discussione, non solo nel caso di licenziamenti discriminatori. A questo proposito lancia uno spunto interessante: “Ha ragione Poletti quando sostiene che non si tocca il reintegro per i licenziamenti discriminatori: ma chi ti licenzia per discriminarti non dice che lo fa per quella ragione“. L’idea quindi è di evitare atteggiamenti subdoli del datore di lavoro che mascherare un licenziamento discriminatorio con altre motivazioni , evitando quindi la sua reintegra nel posto di lavoro.

LEGGI ANCHE: Articolo 18, tra insulti e riforme: cosa dice e cosa rappresenta

LA POSIZIONE DEL NUOVO CENTRODESTRA – Molto chiara e dura è stata la reazione del Nuovo Centro Destra attraverso le parole di Maurizio Sacconi, che dal suo profilo Twitter attacca: “Gli emendamenti presentati dalla minoranza del Pd sono irricevibili per chi voglia riformare il mercato del lavoro”. Il capogruppo del Ncd aggiunge: “Essi ipotizzano il contratto a tempo indeterminato con un assurdo periodo di prova di tre anni senza articolo 18: confermando, tra l’altro, che l’articolo 18 è modificabile, ma poco”.

Alla prossima direzione del Partito Democratico, in programma per lunedì 29 settembre, verranno presentati nel dettaglio tutti i punti del Jobs Act. Data l’importanza della riforma in questione e la profonda spaccatura all’interno del Pd, si attende una riunione “bollente”, anche se ci si augura che le barricate ideologiche, da una parte e dall’altra, lascino spazio al bene dell’Italia e dei giovani italiani.