Benché sia un fenomeno governato dalle leggi della natura, a partire dal XIX secolo il cosiddetto riscaldamento globale (Global Warming) è stato principalmente catalizzato dal fattore antropico, che attraverso l’industrializzazione ed il conseguente inquinamento, ha immesso nell’atmosfera milioni di tonnellate di anidride carbonica. Al di là dell’inevitabile impatto diretto sulla nostra salute, con la diffusione esponenziale di malattie legate all’apparato respiratorio come il cancro ai polmoni, l’aumento delle temperature medie sta avendo un impatto devastante soprattutto sul piano ecologico, con conseguenze drammatiche sulla biodiversità.
Basti pensare all’invasione delle cosiddette specie “aliene” nel Mediterraneo, che stanno lentamente soppiantando quelle autoctone con gravi ripercussioni sull’ecosistema marino, o alla variazione nelle migrazioni di animali di interesse economico, come i cetacei per il whale watching o il pesce azzurro, che rappresenta la fonte di approvvigionamento principale nella pesca sostenibile. Nuove ombre sulle conseguenze del riscaldamento globale sono emerse da uno studio appena pubblicato su Science, secondo il quale, se il tasso di innalzamento delle temperature resterà inalterato rispetto a quello attuale, una specie su sei rischierebbe seriamente l’estinzione entro il 2100. A pagarne il prezzo maggiore saranno i paesi con la biodiversità più florida, ovvero quelli sudamericani e soprattutto dell’Oceania, dove ad esempio è considerato in grave pericolo l’iconico koala.
Rispetto all’epoca pre-industriale, quando il riscaldamento globale era governato dai soli cicli della natura, la temperatura media nel 2100 potrebbe essere sino a 4,3° C superiore, un dato enorme considerando che 200 anni, dal punto di vista geologico, rappresentano praticamente nulla. Gli scenari, secondo alcuni recenti studi, potrebbero tuttavia essere ancora più apocalittici: lo scioglimento dei ghiacci e la conseguente elevazione del mare, ad esempio, potrebbe letteralmente sommergere intere metropoli costiere come New York o la nostra Venezia. Per non parlare della possibile invasione di batteri tossici (nello specifico cianobatteri), come paventato da una ricerca coordinata dall’Università Autonoma di Madrid, che ha mobilitato persino l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ad indagare a fondo sulla questione.